Maestri di leggerezza

di LUCIA SCAGGIANTE

   Quando Gigi Proietti venne improvvisamente a  mancare, ormai già più di un anno fa, com’era doveroso non ci fu emittente televisiva che non rivoluzionasse il suo palinsesto per rendergli omaggio e riproporre ogni genere di spettacolo dove far brillare ancora, per la gioia e il rimpianto, il suo multiforme talento  istrionico e la sua umanità sorniona, generosa e profonda.

   C’erano i film di cassetta e le serie più popolari, le barzellette che tutti conoscono a memoria e nessuno sa raccontare come lui, che era capace di   prenderti ogni volta alla traditora e fulminarti di divertimento; c’era, soprattutto, del teatro meraviglioso, delle perle introvabili recuperate dagli archivi, registrazioni su pellicole sbrindellate e sbiadite come vecchie bandiere di battaglia dove la sua arte, così fresca e piena di vita, diventava commovente e gonfiava il cuore di nostalgia. In particolare Rai Storia ebbe il merito di prolungare questo tributo di ricordi per un mese intero, fissando ogni giorno nel tardo pomeriggio un appuntamento strutturato secondo una logica interessante e ricco di scelte tutt’altro che scontate. Molto, per chi voglia ancora gustarlo, si trova rovistando in quel favoloso solaio che sono le Teche Rai, o anche nello sterminato bazar della Rete: per esempio il mitico A me gli occhi, please, dal Teatro Tenda di Roma, o La fantastica storia di don Chisciotte della Mancia, pura avanguardia metatelevisiva e metateatrale che fu proposta alla TV dei ragazzi.

   Una sera mi capitò di assistere per pochi minuti a qualcosa di esilarante, intelligentissimo e delizioso, che ero convinta di poter recuperare con facilità e invece per un pezzo sembrò sparito dalla circolazione, tanto che alla fine mi arresi. Ora, la bella notizia è che questo piccolo, stravagante gioiello si può di nuovo ammirare, anzi, è così già da un po’ di tempo: per la precisione da quando è stato digitalizzato e inserito nella rassegna Archive Alive! – che fa parte delle Teche Rai – l’estate scorsa, in concomitanza col XV Festival Nazionale Luigi Pirandello e del ‘900, che si tiene a Torino e a Coazze, dove fu ripresentato; me ne sono accorta di recente per caso e mi fa piacere condividerlo. Si tratta di Le tigri di Mompracem, una trasmissione televisiva per la regia di Ugo Gregoretti, con Gigi Proietti nel ruolo di Sandokan.

   E d’accordo che Pirandello appartiene al mondo, ma con Torino che c’entra, si dirà, con Torino, poi, abbinata al misterioso toponimo di Coazze. Ecco, divertiamoci a divagare un poco, facciamo come quando si pascola in Rete, che partendo da un punto qualsiasi  si può arrivare a qualsiasi altro punto (e se non ne avete voglia, tranquilli, potete benissimo saltare). Dunque, Pirandello aveva una sorella sposata, Lina, che abitava a Torino, e gli consigliò come luogo di villeggiatura Coazze, un paese collinare della Val Sangone: un’oasi di pace, dove poteva ritemprarsi e anche concedersi di scrivere, perché allora, era il 1901, faceva ancora l’insegnante e di tempo ne aveva poco. Scrisse, infatti, sul Taccuino di Coazze una serie di appunti e spunti che gli sarebbero serviti in seguito per novelle e romanzi e che gli ispirarono perfino un titolo. Ciascuno a suo modo, appartenente alla trilogia del teatro nel teatro, è certo una ripresa  leggermente variata della frase che campeggia tuttora sul campanile, “OGNUNO A SUO MODO”. Questo festival è insomma una dichiarazione di affetto al grande drammaturgo siciliano, nel ricordo di un periodo sereno della sua vita.

     La celebrazione di Salgari all’interno del festival ha coinciso invece con i 110 anni dalla sua morte, avvenuta nel 1911. Morte tragica, è noto, gesto di disperazione e di sfida contro le sventure. A Torino Salgari fu tutt’altro che felice: costretto da contratti capestro a un lavoro forsennato, fu sommerso dai debiti e anche lui come Pirandello ebbe la moglie, la sua amatissima Aida, internata in manicomio. Fuggiva nel fumo e nel marsala, fuggiva sulle mappe, le carte nautiche e i dizionari che consultava in biblioteca e alimentavano i suoi sogni esotici, che poi furono i sogni di migliaia di ragazzi.

   Il lavoro di Gregoretti e Proietti è stato girato nel 1974 presso il Centro di produzione Rai di Torino. Loro due, che gli hanno conferito la loro impronta  inconfondibile, erano praticamente gli unici romani, perché molti attori, i tecnici, gli scenografi e i costumisti erano torinesi. Venne utilizzato un procedimento che nelle sue forme originarie risale addirittura a Méliès, grande maestro di fantasia, e che nei nostri tempi digitali è diventato comune, ma allora, su pellicola e in televisione, era veramente audace: il chroma key. Torino, già quasi un po’ francese, ha avuto un rapporto privilegiato con tutti gli incantesimi che servono a produrre immagini in movimento fin dagli anni di Guido Gozzano, che malgrado l’aria ironicamente démodé di cui amava vestirsi, col cinema ebbe a flirtare, eccome. Il Museo del Cinema ospitato dentro la Mole Antonelliana per me rappresenta la cosa più simile al castello di Atlante in cui sia dato di potersi addentrare in anima e corpo, ciascuno attirato dai fantasmi dei propri desideri.

   Bene. Allora, nei primi anni ’70 Gregoretti stava scontando una specie di esilio dalla Rai perché, come un monellaccio, si era divertito a spettinare la parrucca di una televisione dagli indubbi meriti culturali e divulgativi, ma ancora molto ingessata, controllata dalla politica e paternalista nel rapporto con gli spettatori. Al direttore Ettore Bernabei non era per niente piaciuto il suo Circolo Pickwick, dove in abiti moderni, docilmente seguito da una troupe di operatori, si aggirava in mezzo ai gentiluomini dell’Ottocento come fosse un inviato del telegiornale. Anche lì c’era Proietti, che faceva un irresistibile furfante. Era il ’68, guarda un po’. Dopo cinque anni di ostracismo,  Gregoretti ebbe la proposta di adattare un classico per la TV dei ragazzi – che non si montasse troppo la testa, era forse il messaggio sottinteso, e il libro lo scegliesse pure lui. La sua scelta cadde sulle nostre Tigri. Che furono inserite in una cornice tanto semplice quanto irriverente e geniale, partendo proprio dall’idea di genere letterario. Non male per uno che per aver scherzato coi generi era stato messo in castigo.

   Gli antenati delle serie che ogni sera ci tengono col fiato sospeso davanti allo schermo di casa, quando nelle case non c’erano schermi erano i romanzi che uscivano a puntate in appendice ai quotidiani, si sa: per l’appunto, i romanzi d’appendice. La tigre della Malesia uscì per la prima volta nel 1883 in questa forma e con questo titolo su “La Nuova Arena”, un piccolo giornale di Verona, dove ancora abitava Salgari. E il gioco è presto fatto: leggere insieme romanzo e giornale, alternare le mirabolanti imprese di Sandokan agli eventi  di cronaca di una cittadina di provincia, col filtro unificato del giornale e del suo pubblico benpensante . 

Occorre poi che le immagini prendano le parole sul serio, che è un bel modo di smascherare ogni retorica mediante una lucida strategia, ma, a volte, anche di rendere lo sberleffo in qualche modo affettuoso. Così, accanto al regista nel ruolo di sé stesso, prendono corpo l’autore, designato dal tormentone “Sàlgari o Salgàri?” che attraversa da sempre tutta l’Italia, i redattori, velocipedisti e contadini, Cesare Lombroso in visita, una coppia di borghesi che leggono il giornale in camera da letto e, a turbare quella pace, due anni prima di Kabir Bedi, lui, Sandokan-Proietti, mai così indomito e focoso, l’uragano delle sue passioni selvagge dipinto da una mimica che asseconda senza pudore ogni più enfatico accento della pagina scritta, con effetti di scatenata comicità. Intanto arrivano al giornale lettere di protesta perché in corte Nogara otto pianoforti suonano da mane a sera ognuno per conto suo importunando gli onesti cittadini, e Marianna, inglesina di madre napoletana, tutta compresa canta “Io te vojo bbene assaie e tu nun pienz’a mme!” sulle corde della mandola. Si gioca con arguzia coi linguaggi, con le storie e la storia, ma “in realtà non volevamo dimostrare nulla, semplicemente mostrare”, conclude il regista. Proietti raccontò di essersi divertito molto. Devono essersi divertiti tutti quanti come matti, ognuno facendo la sua parte. Sarebbe stato bello anche solo poter dare una sbirciatina ogni tanto con la scusa di portare negli studi il caffè. O il bicerin, magari.

LUCIA SCAGGIANTE

P.S. Alla fine, poi, Le tigri diedero trionfalmente l’arrembaggio alla prima serata.

https://www.teche.rai.it/programmi/libri-in-casa-le-tigri-di-mompracem/

https://twitter.com/accademiacrusca/status/1212644698885541888

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