ALMANACCO CIVITAVECCHIESE DI ENRICO CIANCARINI – Impressioni femminili da Civitavecchia. Omaggio a Silvio

di ENRICO CIACARINI

Posso assicurare di non averne mai gustati di più squisiti in mia vita, e quella fermata non c’infastidì gran fatto, perché fu brevissima”. Squisiti sono i fichi di Civitavecchia, gustati a bordo del vapore Maria Antonietta alla fonda nello scalo civitavecchiese, dalla nobile palermitana Cecilia Stazzone De Gregorio che li celebra nelle Rimembranze di un viaggetto in Italia scritte da una signora siciliana (1847). Nell’edizione critica del 2009, curata da Ricciarda Ricorda, leggiamo che il libro è “uno dei pochi esempi di viaggio in Italia comparsi nel Bel Paese nella prima metà dell’Ottocento, il primo dovuto a penna di donna, risulta infatti prezioso […] nel quadro della storia delle idee e delle condizioni di vita nell’Italia prerisorgimentale”.

La breve tappa che il vapore, che dalla Sicilia risale la penisola, effettua a Civitavecchia non entusiasma la giovane dama che partita da Napoli, ricorda che “il dì seguente approdammo a Civitavecchia, e non fuvvi chi avesse voluto sbarcare in quel cattivo paese, tranne il solo Tedesco, il quale con tutta serietà mi disse che voleva veder Gasparone”.    

Righe che fanno da eco a quanto lamentava il console francese che, scrivendo nel 1840, affermava che su 100 stranieri che transitavano per il porto pontificio, la metà esprimeva il desiderio/emozione, realizzandolo molte volte, di far visita al celebre brigante Gasparone ristretto nel Forte Michelangelo mentre solo 5 sbarcavano e rendevano omaggio all’illustre console e scrittore francese Henry Beyle detto Stendhal.

Appunti di viaggi con tappa civitavecchiese che sono citati e commentati nell’ultimo e prezioso saggio lasciatoci da Silvio Serangeli, recentemente scomparso, intitolato Battelli a vapore. La rinascita di Civitavecchia. L’osservatorio di Stendhal. I diari di viaggio (1818-1848) edito nel 2020.

Civitavecchia nei diari di viaggio ottocenteschi non splende come meta turistica. Un concittadino della Stazzone De Gregorio, il cavaliere Carlo Merlo, capitano della Real Marina siciliana, pubblica nel 1856 per i tipi della Tipografia Strambi, Un cenno della Città di Civitavecchia, una delle prime guide turistiche della città portuale. Merlo dimostra di conoscere le potenzialità turistiche del paese ma lamenta l’assenza di mezzi per raggiungere “le curiosità rimarchevoli dei dintorni che io non ho potuto visitare, perché mancano in questa Città le piccole vetture di affitto, e gli asinelli, onde poter far delle corse in campagna, ed a mio credere chi ne farebbe la speculazione, potrebbe averne molto profitto”. Si riferisce alle Terme Taurine che Donato Bucci aveva messo in risalto in una sua precedente pubblicazione. Il negozio del Bucci era il punto di ritrovo frequentato dai forestieri che volevano portarsi a casa un souvenir di duemila anni prima, come ricorda lo stesso Stendhal, suo amico e promoter sui giornali parigini.

Se la Civitavecchia pontificia non attrae i turisti del Grand Tour, che vi fanno tappa per proseguire in diligenza per l’eterna Roma, il novecento non promette nulla di buono. La Guida d’Italia del Touring Club Italiano del 1923 descrive così la nostra città:

Civitavecchia – m.10, ab. 14.122 – 23.062, è una città di aspetto quasi completamente moderno fuori del vecchio nucleo, con parecchie vie ampie e rettilinee e alte case; il suo porto è la base principale del rifornimento da mare del centro industriale di Terni col quale sarà presto unito direttamente dalla ferrovia in costruzione per Orte.[…]

La città è pavimentata a piccoli quadretti. Sui monumenti pubblici e nel porto, grandi iscrizioni di pontefici mecenati. – Visita, di scarso interesse in circa 2 ore; con minor tempo, limitarsi al porto.

Nel 1931 due articoli raccontano Civitavecchia, descrivendola e mettendo in luce pregi e difetti.

Il primo, ampiamente conosciuto e spesso citato, è l’articolo che lo scrittore e giornalista Antonio Baldini pubblica sul Corriere della Sera in quell’anno e successivamente inserisce nel volume Italia di Bonincontro (1940). Il testo integrale può essere letto sul sesto volume della Storia di Civitavecchia.

Dopo aver tessuto gli elogi della città, il giornalista e scrittore si sofferma sulla pari bellezza e fascino delle donne civitavecchiesi, dedicandogli un’appassionata lode che riporta alla mente la famosa Canzone di Civitavecchia in cui si canta “ è ‘na città d’incanto che a tutti piace tanto / c’è er pesce fresco e le ragazze bone la gente è assai de core …”. Apprezzamenti di un’epoca in cui il “non politically correct” regnava sovrano sui media.

La domenica tutte le ragazze in piazza a passeggiare, o alla finestra con le braccia nude: e non vedi che facce bonaccione e confidenti. Qui puoi cogliere ancora la confidenza romana d’una volta, prima della calata dei “buzzurri”. Piazza Antonio Fratti e piazza Leandra sono due angoli di Roma prima del ’70.

Mai vista, e neanche pensata mai possibile, una percentuale così spettacolosa di belle ragazze. Troppa grazia! Niente da buttar via; d’un tipo a fondo bruno, vispo e dolce, personale slanciato e non patito all’uso di città; e per ogni dove sorprendi vellutati sguardi saraceni e capelli increspati e lucenti d’una nerezza infernale, i riccioli accomodati sulla bianca fronte con grazia provinciale, odorosi nella sera di maggio. Una quantità da far paura, da spaccare i cuori dei melanconici peregrini come salvadanai; ma i civitavecchiesi ci sono tanto abituati che manco se n’accorgono. Varie bande, e militari e municipali, e l’altoparlante del caffè principale, chiamano le bellezze tutte in piazza. Un brusio, un rimescolio, un’animazione straordinaria: contuttociò, nessuna promiscuità: ragazze con ragazze, signore con signore, uomini con uomini, militari con militari. Spira quell’aria di simpatica confidenza, ma ciascuno sta al proprio posto, e ai soldati in ronda con le giberne sulla pancia non rimane che prendere un’andatura da dilettanti.

La moda è naturalmente un po’ in ritardo e le sottane sono forse un tantino troppo corte; ma in compenso vedi certe figliolone vestite di velluto, con collettini di bucato, i capelli aureolati sul collo alla Melozzo da Forlì, e certi colori di salute che tu dici: tanto peggio per Botticelli e per Greta Garbo!

L’altro articolo appare sul  numero di giugno di Cordelia. Rivista mensile per signorine una delle riviste femminili più diffuse nel ventennio fascista, diretto e scritto da donne. L’autrice è dolcemente incantata dalla frenetica attività dei pescatori locali che al ritorno dalle loro uscite, sbarcano dai vaporini ceste piene di pesce destinate ai mercati d’ogni angolo d’Italia.

La presenza di un’improvvisata e molesta guida turistica pone fine alla sua passeggiata fra i moli e le ceste di pesce che tanto l’aveva affascinata:

SOSTA NEL PORTO DI CIVITAVECCHIA

Sole, sole, splendente, glorioso, ovunque: sul mare da cui sembrano frantumati miriadi di diamanti, sì che danno alle brevi onde appena increspate dal vento di terra, uno scintillante tremore che l’occhio non regge – sulle arcate solenni dell’antico arsenale – sul forte Michelangelo che si avanza come lo sprone di una formidabile galera, verso il molo del Bicchiere, popolato di velieri, pronti a salpare col loro greve carico verso le lontananze azzurre del mare – o che, ammainate le vele, si preparano al riposo meritato dopo un lungo e fortunoso viaggio.

Civitavecchia.

Me la rammento, viva e palpitante, in quel giorno di sole in cui, aggirandomi per le sue vie e pel suo porto, aspettavo l’ora per salire sul piroscafo che doveva condurmi in Sardegna. Pareva quasi un giorno di festa mentre invece nel porto e nei silos v’era un fervore di lavoro continuo e tormentoso, e su questo lavoro la torre ottagonale del forte cinquecentesco a cui lavorarono Bramante, Sangallo e Michelangelo, alzava la sua fronte superba fregiata dallo stemma di Paolo III, come per vigilare l’opera dell’uomo e rammentargli il suo potere e la sua forza.

Nelle calate era un intrico d’alberi e di sartie – nell’aria un odore salmastro, un odor d’alghe e di pesce che scaricavano dai vaporini da pesca che stanno sostituendo – ahimè! – a poco a poco le pesanti barche dalle vele di triangolo gonfie di vento e così belle sul mare queto, e così piene di angoscia sul mare in tempesta …

[…]

… Ahimè! Ahimè! … Quante fantasticherie mi suscita il ricordo di quelle colme ceste di pesce ancor pulsante che io vidi collocare in bell’ordine sulla spianata del molo in attesa d’essere spedito per le città del continente: fresco e nutritivo e sano dono del mare per la povera umanità continuamente affamata!

Ma il tramonto si avvicinava e con esso l’ora della mia partenza … Avrei voluto salire alla cattedrale, ma quell’industre andirivieni del porto non mi permetteva d’allontanarmi, e girellavo con le mani sprofondate nelle tasche della mia giacchettina contenta della traversata che mi si annunciava stupenda, poiché eravamo nel plenilunio e il mare, con quella luce, sarebbe stato un incanto …

Ma ecco una voce aspra dietro le mie spalle.

  • Signora, volete avvisitare la città? Ve la posso mostrare io … Il porto è stato iniziato nel secolo II dall’imperatore Traiano ed in seguito ampliato dai pontefici …

Mi volsi. Un ometto mezzo gobbo, con un cappellaccio sbertucciato posato con spavalderia sul cocuzzolo mi sorrideva con un viso da bull-dog. Era risibile e pietoso nel tempo istesso.

  • No, grazie, non occorre – dissi allontanandomi; ma quello, dietro, insistendo:
  • Dicono, signora, che l’aria di Civitavecchia non è salubre. Niente vero: falsissimo; d’estate c’è un subisso di bagnanti …
  • Grazie … Non importa … Devo partire – ripetei con asprezza. Come dire al vento! L’uomo mezzo gobbo mi si mise addirittura al fianco, proseguendo imperturbabile:
  • Per la sua prossimità alla capitale Civitavecchia è tuttora, come al tempo di Traiano, lo scalo marittimo di Roma, ma è ben lungi dallo splendore di quelle epoche remote …
  • Ho capito … grazie … Tenga! – presa dalla disperazione gli gettai una moneta; la moneta cadde; colui si chinò a raccattarla, la contemplò ben bene, poi fece una corsa per raggiungermi, e strillando:
  • Civitavecchia sorge sul luogo dell’antica Centumcellae, fu conquistata da Totila e ripresa da Narsete. Nel 1849 vi sbarcarono le truppe francesi che dovevano soffocare la repubblica romana; e fu dai francesi stessi sgomberata nel 1870 …

Non sentii altro … Con velocità avevo raggiunto il mio piroscafo la cui ciminiera innalzava già verso il cielo arrossato un immobile pennacchio di fumo … Un rauco gemito di sirena, qualche sventolio di fazzoletti sulla banchina – qualche richiamo a bordo … Lenta, cauta, l’aguzza prua cercava la via del mare, con uno strisciare lento di acqua; tagliata poi, oltre la selva di piroscafi, di vapori e di velieri, si aprì l’azzurrità violacea del Tirreno, striato da un tremolio d’oro, e il vento si fece più fresco ed il mio velo color perla garrì in quel vento come una bella bandiera …

Immota, pervasa dall’infinita dolcezza di quell’ora, quasi stordita dal profumo salino del mare, mi volsi a guardare la città che si oscurava nel tramonto e la salutai con un piccolo gesto, come si saluta una persona simpatica che si è appena conosciuta e da cui già ci si separa …

A oriente il plenilunio gettava già la sua luce annunciatrice; da prua si alzò, dolce e malinconico come un addio, un suono di mandolini.

L’autrice dell’articolo è Ileana Baglione, collaboratrice della rivista, che regala a noi contemporanei uno squarcio di vita nel porto di Civitavecchia a firma femminile, cosa non frequente nella letteratura di viaggi italiana. La città, ancora intatta, le appare solare e simpatica, caratteristiche che per fortuna non abbiamo perso dopo il devastante 14 maggio 1943.

ENRICO CIANCARINI

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