Il significato delle parole.

di VALENTINA DI GENNARO ♦

Nel luglio del 2001 durante il mio soggiorno poco comodo a Genova, ma soprattutto durante la grande stagione che anticipò quel fine settimana, mentre la mia generazione era in strada e parlava di un nuovo mondo possibile, di non violenza, pacifismo, redistribuzione del reddito, ambientalismo, femminismo e altermondismo (Sì, ci sono sempre molti “-ismi”  anche in quello che scrivo io), mentre mettevamo protezioni ai nostri corpi, contro idranti e lacrimogeni, nei salotti della grande economia e della finanza, i capi di governo dell’epoca sgomitavano per dare il benvenuto a Putin nei salotti buoni delle grandi assise mondiali.

I fatti di Bucha hanno messo allo scoperto quello che, purtroppo, questa povera Terra conosce bene: le profondità oscure, malvagie e tremende della guerra.
 Dei corpi senza vita, senza la gloria dei soldati. Delle morti civili, donne e bambini. Lo stupro.
Guai a non crederci, sgombriamo il campo del nostro dibattito dalla categoria di chi non crede sia vero.
Il corpo delle donne e delle bambine è corpo di battaglia, lo è da sempre.
È bersaglio, è mezzo e fine di bottini, razzie, depredazioni. È mezzo e fine di armi di guerra e genocidi.
Questo è l’orrore della guerra.
Navi Pillay, Sudafricana di origine tamil è stata la prima donna non-bianca presso l’Alta corte del Sudafrica, è stata magistrato presso la Corte penale internazionale e presidente del Tribunale penale internazionale per il Ruanda.
Sua, la decisione di sancire lo stupro come arma di guerra e genocidio.
Si è fatto un gran parlare delle posizioni dell’Anpi, sia dall’inizio dell’invasione, fino al commento sui fatti di Bucha, posizione che prevedeva oltre la più ferma condanna anche la speranza di un intervento da parte dei tribunali internazionali per crimini di guerra.
Che è la stessa espressa da Draghi.
È una novità? Purtroppo no. È così, nella sua assurdità, pare che la guerra abbia leggi, modalità di uccisioni che vanno bene e altre no. Ecco che esiste allora l’istituto del crimine di guerra, come se non lo fossero tutti. Siamo ormai assuefatti alla narrazione della guerra? Tanto da perdercisi anche noi.
Inoltre, sulla definizione di Resistenza ucraina.
Non so se ci sia questa continuità antropologica tra NoVax e sostenitori di Putin.
 C’è sicuramente la tendenza ad un dibattito binario. Ridotto ai minimi termini, ma connotato da reazioni scomposte e assolutiste.
Non vuole essere, questa mia, una classificazione valoriale.
Quanto una riflessione su ciò che intendiamo quando parliamo di Resistenza e partigianeria.
La Resistenza italiana, per esempio, è stata una forza spontanea, volontaria, eterogenea. Ha visto nelle sua fila anche uomini e donne che scelsero la “non violenza”, il non nuocere a persone.
In Ucraina, in modo assolutamente legittimo, c’è un esercito statale che combatte e si difende contro uno stato invasore.
C’è la legge marziale, c’è la caccia al disertore, a chi non vuole combattere.
C’è la guerra.
Ha ragione Anna Luisa, neanche io ho la verità in tasca, mi rifugio nel significato delle parole, usate ed abusate, per capire e comprendere meglio ciò che succede sotto questo cielo.
Usare parole come “non violenza” come sinonimo di pacifismo è un errore. Usare la parola “Resistenza” invece che difesa militare mi appare scorretto.
Non è ammessa diserzione, non è ammessa la scelta non violenta. Da ambo le parti.
Fausto Bertinotti in una recente intervista a “La Verità” ha detto: “c’è un colpevole, ma nessuno è innocente.”
Per me è un punto di vista accettabile dal quale partite per continuare la nostra discussione.
VALENTINA DI GENNARO
* L’immagine di copertina è quella dell’High Commissioner for Human Rights, Navi Pillay tratta dal sito delle Nazioni Unite.