Almanacco civitavecchiese di Enrico Ciancarini – La guerra di Silvia.  Donne e fascismo a Civitavecchia.

di ENRICO CIANCARINI

Il più bel libro sul fascismo civitavecchiese è senza dubbio Civitavecchia “Vedetta imperiale sul mare latino” edito in occasione del primo decennale della cosiddetta “rivoluzione fascista” nel 1932, edito da Edizioni di “Latina Gens”.

A pagina 146 è pubblicato il “Quadro statistico delle forze fasciste e combattentistiche di Civitavecchia nell’anno X”. Nella massa di dati estrapoliamo i dati che registrano che il Fascio femminile ha 58 iscritte (quello maschile ne vanta 671); le Piccole italiane sono 1.158 (i Balilla 1.428); le Giovani italiane 75 (gli Avanguardisti 426). Numeri che valutano la penetrazione del movimento fascista in una città che al censimento del 1931 denuncia 30.148 abitanti, comprese le frazioni di Santa Marinella e Ladispoli.

Nel volume le donne trovano ben poco spazio. Si torna a parlare al femminile a proposito degli enti assistenziali presenti a Civitavecchia: l’Orfanotrofio femminile della Divina Provvidenza (pp. 223-225); l’Ospedale femminile (pp. 226-227) e l’Opera Nazionale per la Protezione della Maternità e dell’Infanzia ONMI – Comitato locale (pp. 227-228) nel cui comitato comunale è presente per legge la segretaria del Fascio femminile.

In quegli anni segretaria del Fascio femminile di Civitavecchia è l’insegnante elementare Luigia Campolmi. La scuola è uno dei primi campi d’azione del fascismo al potere. Bisogna creare “l’uomo e la donna nuova” partendo dai primi anni di vita: balilla e piccole italiane, avanguardisti e giovani italiane. Il personale della scuola primaria è chiamata al giuramento al Re e alla Patria nel febbraio 1929. Le scuole elementari civitavecchiesi a leggere la stampa specializzata dell’epoca è molto attiva nel propagandare gli ideali del fascismo. Nei primi anni trenta alla Scuola “Cesare Laurenti” è organizzata la Mostra delle attività educative fasciste e pubblicato “Il Giornaletto della Scuola”, “palestra di vita per gli alunni” pubblicamente elogiato dall’Ufficio stampa del duce, e dove, molto presumibilmente un famoso giornalista muove i suoi primi passi: Eugenio Scalfari.

Il regolamento dei Fasci femminili precisa all’articolo 2 che “Ai Fasci femminili è affidato il compito di concorrere ed attuare tutte le opere assistenziali organizzate dal P.N.F, di divulgare e tenere desta l’idea fascista anche nell’ambito delle famiglie”. Il successivo articolo prescrive “Possono far parte dei Fasci femminili le donne italiane che siano di ineccepibile condotta morale e di sicura fede fascista”. (da internet).

La voce “Fasci femminili” nel Dizionario del Fascismo (2002) è curata dalla storica inglese Perry Wilson. All’inizio del ventennio fascista furono scarse le adesioni femminili alle organizzazioni di partito che invece crebbero negli anni trenta. Le gerarchie erano riservate prevalentemente ad esponenti dei ceti più agiati, pescando anche nell’aristocrazia. Le organizzazioni femminili rimanevano però sempre subordinate alle gerarchie maschili. La Wilson scrive: “Dagli anni venti agli anni trenta, via via cominciarono a palesarsi i limiti del volontarismo chi l’attività dei Fasci femminili era visibilmente improntata. Si organizzarono allora corsi di addestramento specifico, che in alcuni casi offrirono l’accesso a occupazioni normalmente retribuite. Le iscritte ai Fasci femminili poterono iscriversi a corsi di breve durata per diventare visitatrici fasciste, patronesse dell’Onmi, infermiere volontarie fasciste, assistenti e direttrici di colonie”.

Di questo cambiamento della linea d’azione a livello locale, troviamo ampia traccia nella biografia personale di Silvia Nani, nata ad Alessandria il 30 marzo 1903 da Giuseppe e dalla civitavecchiese Adalgisa De Falchi. Il padre è ferroviere, gira l’Italia per lavoro. Silvia è a Civitavecchia negli anni trenta. Ha conseguito la licenza tecnica e ha una buona conoscenza della lingua francese. Nubile, è residente a Viale della Vittoria 25.

Ringrazio l’amico e collega Fabrizio Pacini che ha messo a disposizione alcuni documenti della zia con cui è possibile ricostruire alcuni aspetti del rapporto donne – fascismo a Civitavecchia.

Il primo documento è una nota del segretario del Fascio di Civitavecchia Beniamino Assumma che invia il 1 marzo 1938 alle fasciste Marchesa Maria Guglielmi, segretaria del Fascio femminile; a Nani Silvia, vice segretaria del Fascio femminile; a Baiocco Silvia vice ispettrice della Gioventù Italiana del Littorio GIL.

Assumma notifica alle tre dirigenti fasciste i complimenti telegrafici ricevuti da Achille Starace, segretario del Partito nazionale fascista: “in occasione rapporto gerarchie Civitavecchia si è presentata in modo perfetto e con tono schiettamente fascista. Elogio te et tuoi collaboratori”; e da Andrea Ippolito, segretario federale dell’Urbe: “Ieri Civitavecchia ha manifestato con insuperabile ardore sua compatta maturità fascista. Elogio con te gerarchi, camerati et popolo. Viva la rivoluzione fascista! Viva il duce!”

Le tre hanno “ben meritato per la intensa collaborazione e il durevole contributo” fornito “con encomiabile spirito di affettuoso cameratismo”, dimostrato durante la manifestazione di partito svoltasi il 27 febbraio XVI. Il segretario conclude la sua nota “con grati saluti fascisti”.

Silvia si è arruolata volontaria nella Croce Rossa Italiana il 10 settembre 1937.  Stefania Bartoloni, autrice del volume Donne nella Croce rossa italiana: tra guerre e impegno sociale (2005) afferma che “La sovrapposizione di cariche che conseguì da tale prassi produsse una sorta di identificazione tra i due organismi. A Civitavecchia, nella sezione femminile diretta dalla marchesa Memme Guglielmi, nipote del podestà, le Volontarie si chiamavano Visitatrici fasciste, portavano la divisa delle militanti del PNF e per distinguersi indossavano la fascia della Croce rossa”.

Fra le carte troviamo l’attestato dell’Istituto fascista dell’Africa italiana – sezione di Civitavecchia – in cui “si certifica che la fascista Nani Silvia ha frequentato il corso di preparazione coloniale per le iscritte alle organizzazioni femminili del partito”. È datato 24 giugno 1939 l’attestato che l’ispettorato femminile di Civitavecchia della Gioventù Italiana del Littorio le rilascia in cui si documenta che “la Donna fascista Nani Silvia ha frequentato il corso di dirigente di colonia”. È il necessario e obbligato “cursus honorum” che le donne in carriera all’interno del Partito fascista devono percorrere.

Il 10 giugno 1940, un anno dopo quel corso della GIL, il duce Benito Mussolini annuncia in una stracolma piazza Venezia l’entrata in guerra dell’Italia a fianco dell’alleato, il Reich hitleriano.

Anche per Silvia, vicesegretaria del Fascio femminile di Civitavecchia e infermiera volontaria della CRI (matricola 9782) inizia la guerra. È lei stessa a farcela rivivere, leggendo il suo “stato di servizio militare in guerra” redatto a Barbarano Romano il 30 dicembre 1945, dove è sfollata per “sinistramento di guerra”. Lo integriamo con quanto contenuto nel suo stato di servizio ufficiale della Croce rossa, anch’esso conservato fra le carte superstiti.

Silvia è mobilitata il 2 novembre 1940. S’imbarca sulla Regia nave ospedale “California” destinazione il fronte greco-albanese, da pochi giorni inaugurato da Mussolini con la vigliacca aggressione alla Grecia. È destinata all’Ospedale di campo 403 a Krionero di Valona. Vi rimane dal 3 dicembre al 20 luglio 1941. Subito nei primi giorni, con le colleghe si guadagna l’ammirazione dei vertici militari che la gratificano con un’importante decorazione militare:

Sul Bollettino ufficiale del Ministero della Guerra del 1943 leggiamo la motivazione della medaglia di Silvia:

“Croce al Valor militare a Nani Silvia di Giuseppe e di De Falchi Adalgisa, da Alessandria, infermiera volontaria C.R.I., ospedale 403.

Infermiera volontaria della C.R.I. presso un ospedale dislocato in zona particolarmente esposta a frequenti offese aree nemiche, durante alcune delle quali veniva colpito l’ospedale stesso, dava prova di grande fermezza d’animo e di ammirevole sprezzo del pericolo, rimanendo serena al suo posto di dovere ed evitando, col suo calmo contegno, il diffondersi del panico fra i ricoverati.  Mirabile esempio di spirito di abnegazione. – Fronte greco-albanese, 19-26 dicembre 1940 – XIX”.

Altre tre infermiere sono decorate della Croce al Valor militare per il loro servizio all’ospedale 403 a Valona, in Albania, in quei giorni di dicembre 1940: Giuseppina Bernasconi, Annunziata De Pauli e Vittoria Donatelli.

Da Valona, è trasferita a Scutari, Dopo una licenza è inviata in Grecia, dove è assegnata all’Ospedale di campo 259 ad Atene, dal 23 luglio 1941 al 26 ottobre 1943.

Il 25 luglio 1943 il duce è destituito dal voto del Gran Consiglio del Fascismo, la guerra però prosegue, il governo è presieduto dal maresciallo Badoglio. Ma l’8 settembre 1943 l’Italia stremata firma l’armistizio con gli Alleati, l’esercito è lasciato senza comandi, qualcuno scriverà di “morte della Patria”.

Le truppe tedesche rastrellano su ogni fronte i militari italiani e li deportano in Germania. Fra di essi c’è anche Silvia che è internata al campo di concentramento Stalag IV B per i prigionieri di guerra a Zeithain – Riesa, nei pressi di Dresda. Vi arriva il 5 novembre 1943. Qui con altre crocerossine presta assistenza ai prigionieri italiani che si sono rifiutati di aderire alla repubblica fantoccio di Salò in un campo che viene chiamato “Lazarett”. Vi morirono 850 militari italiani.

Sul sito ufficiale della Croce Rossa Italiana possiamo leggere che “circa venti infermiere volontarie furono internate nel campo di concentramento di Zeithan, dove prestarono servizio dal novembre del 1943 al giugno del 1944, nell’ospedale per prigionieri di guerra sempre con grande zelo e disponibilità ed in modo soddisfacente”.

Una compagna di prigionia di Silvia, Maria Vittoria Zeme (che per questo è stata commemorata nel “Giardino dei Giusti di tutto il Mondo” a Milano), scrive il volume di memorie Il tempo di Zeithain 1943-1944. Diario di una crocerossina internata volontaria in un Lager-lazzaretto nazista in cui ricorda con affetto Silvia: “ha più di 40 anni, mi ha detto che ha imparato da me a diventare serena”.

A giugno le crocerossine sono rispedite in Italia, dove l’8 giungono a Verona. Silvia, non potendo raggiungere la famiglia a Civitavecchia, ormai liberata dagli Alleati, si trasferisce nella natia Alessandria. Qui, come scrive lei stessa, “avendo rifiutato di prestare giuramento per la Repubblica di Salò, è stata, dai dirigenti repubblicani della C.R.I., smobilitata ed abbandonata a sé stessa”.

Nella città piemontese ha dei parenti, forse sono loro ad aiutarla a sopravvivere a quei mesi terribili dell’inverno 1944 sotto l’occupazione nazifascista. In Piemonte rimane fino al 17 agosto del 1945. Un mese dopo si presenta al Centro di mobilitazione della CRI a Roma.

La guerra di Silvia ha così termine, il bilancio si chiude con una medaglia al valore militare, un difficile periodo trascorso nei campi d’internamento tedeschi, la decisione di non aderire al fascismo repubblicano. La sua mancata adesione alla RSI può testimoniare un allontanamento da quelle idee che alimentava prima della guerra con la partecipazione al Fascio femminile civitavecchiese.

Il servizio militare termina il 27 maggio 1946. Il 2 giugno le donne italiane sono chiamate a decidere insieme agli uomini il destino dell’Italia: repubblica o monarchia.

Chissà come avrà votato Silvia.

ENRICO CIANCARINI