ARTE NEGATA E NUOVI BARBARI

di GIORGIO LEONARDI

«L’arte è l’unica cosa pulita della Terra, oltre alla santità», sentenziava in un empito estetico-religioso il grande scrittore decadente Joris-Karl Huysmans. A conti fatti ciò che differenzia l’uomo dalle altre specie animali non è la bontà della sua indole, quanto piuttosto la capacità di dare forma alla propria creatività, producendo opere d’arte elaborate e complesse, anche nei significati che sottintendono. Se c’è, insomma, una cosa di cui l’umanità può andar fiera è l’opera del suo ingegno (scientifico e artistico), tolto quest’ultimo non resta, probabilmente, che la più pericolosa delle specie animali. E forse anche una tra le più stupide. Se ne ha continuamente dimostrazione nei notiziari quotidiani.

In tempi in cui a oriente si addensano nuvole di guerra, una recente notizia a cui i mezzi di comunicazione non hanno dato risalto è datata 6 marzo, giorno della nascita di Michelangelo Buonarroti, che il sindaco di Firenze (Dario Nardella) ha pensato di omaggiare facendo stendere un lugubre telo nero sulla statua del David che si erge nei pressi dell’ingresso di Palazzo Vecchio in Piazza della Signoria, fino a coprirla integralmente, cancellandola così alla vista del mondo. Un gesto brutale che evoca sinistri scenari storici. Ma cosa ha portato un sindaco giovane e “progressista” a un atto così inconsulto? Ebbene, per quanto possa sembrare impossibile, la spiegazione rilasciata dal compunto Nardella è anche peggiore del gesto stesso. La copertura del David è stata motivata come un segno di dolore e di lutto della città per i morti nella sciagurata guerra in Ucraina. Lo stesso sindaco ha riconosciuto nel David il simbolo di un uomo che, armato di tanto coraggio e poveri mezzi (una fionda) sconfigge il nemico del popolo di Israele, il gigante Golia. David rappresenta, quindi, iconograficamente la lotta (vittoriosa) del debole contro il forte. E allora perché coprirlo? Perché depotenziare un simbolo così vigoroso in un frangente storico in cui proprio l’esercito di una superpotenza tiranneggia un popolo indifeso? Scelta inopportuna e intempestiva che nessuna rabberciata spiegazione può giustificare. Nardella con un semplice gesto ha contraddetto secoli di iconografia, ignorando la forza dell’arte e del simbolo figurato, capace di trasmettere messaggi, risalendo “per visibilia ad invisibilia”, come voleva Paolo di Tarso. Attraverso oggetti visibili, appunto. E non occorre essere esperti di comunicazione per capire che, in una società fortemente mediatizzata, non è sottraendo/nascondendo un’immagine che si afferma la sua presenza.

Il fatto è che alla base manca il più elementare senso della cultura. In effetti, uno dei drammatici problemi del nostro sventurato Paese è la noncurante ignoranza della sua classe dirigente, che spesso si circonda di una pletora di consulenti politici che occupano il loro tempo, lautamente retribuito, unicamente a escogitare iniziative tanto plateali quanto idiote, purché di facile presa su una massa conformista e incapace di elaborare pensieri indipendenti.

Già, il mostro del conformismo… in tempo di pace pericoloso come quello della guerra: miete meno vite umane ma fa strage di cervelli. Il “progressista” Nardella, invece di affaccendarsi con lenzuola e nastrini colorati, posando ineffabile a favore di telecamera, dovrebbe magari rileggersi il discorso che il Presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy pronunciò all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il 25 settembre del 1961, in cui disse: «Il conformismo è il carceriere della libertà e il nemico dello sviluppo». Nello stesso discorso, nel pieno di una “guerra fredda”, come capo di una superpotenza militare, ammonì i delegati scandendo anche una delle frasi più inequivocabili sul pericolo di una deriva verso un conflitto generale: «L’umanità deve porre fine alla guerra, o la guerra porrà fine all’umanità». Attualissimo, efficace e lapidario.

Altro che coprire statue, caro Nardella.

Il giudizio degli storici su JFK ha, giustamente, evidenziato le molte zone d’ombra del suo operato… eppure rispetto a certi politici di oggi, più simili a imbonitori da mercato rionale, la sua figura giganteggia come quella di uno statista.

L’impulso, chiaramente dettato dal conformismo imperante, di nascondere il bello artistico in nome di un multiforme “politicamente corretto” dalle nostre parti non è, purtroppo, una novità. Siamo recidivi. Molti ricorderanno l’inscatolamento delle statue antiche in Campidoglio, nel 2016, perché la loro sublime nudità classica non doveva rischiare di offendere lo sguardo e la sensibilità di Rohani, allora presidente della repubblica islamica dell’Iran. Figuraccia internazionale. In quel frangente il genio ordinante di turno fu quello di Matteo Renzi, come Presidente del Consiglio in carica. Roba da Concilio Tridentino e da far concorrenza allo zelo di un Daniele da Volterra, chiamato a coprire le “pudenda” dei personaggi della Cappella Sistina. La stupidità umana è chiaramente un virus, e muta in infinite varianti.

Certo, potremmo archiviare tali faccende come qualcosa di estemporaneo, provinciale, innocuo o, appunto, semplicemente stupido. Ma la questione, in realtà, è ben più grave. Simili iniziative implicano infatti un forte valore simbolico: è l’abdicazione della civiltà e della bellezza dell’arte a favore della violenza e dell’intolleranza dell’uomo. È il segno di un cedimento. Di più, è il rigurgito di una censura che, fingendosi dalla parte dei buoni, fa il gioco dei cattivi. Non è solo una mera ignoranza alla base di tutto questo, ma anche il senso di una rimozione inconscia della nostra storia.

Nardella avrebbe potuto mettere in evidenza il David, illuminandolo con un faro giallo e uno azzurro, i colori dell’Ucraina, puntando così i riflettori sulle sofferenze del suo popolo. Avremmo così colto l’occasione di offrire al mondo un esempio edificante, attraverso la bellezza e il linguaggio universale dell’arte. E invece ha scelto di cancellarlo, di nasconderlo sotto una pesante e informe coltre nera, a cui un esaltato ha dato fuoco l’11 marzo, causando anche danni alla statua che, pur essendo una copia, mantiene ovviamente intatto il valore simbolico dell’originale. Forse a qualcuno quelle fiamme avranno rammentato il rogo di Girolamo Savonarola in Piazza della Signoria. Signori, forse un nuovo Medioevo è alle porte.

Liberatosi traumaticamente del telo, David è tornato a vedere la luce del sole, dopo giorni di cecità. L’obiettivo è stato comunque raggiunto: umiliare l’arte per la visibilità e la vanità di qualcuno. Chissà se Nardella e i suoi sono consapevoli di aver applicato alla lettera il precetto machiavelliano del fine che giustifica i mezzi. Ho visto, ad ogni modo, persone andare orgogliose di questa trovata. Persone che, nella loro insipienza, non si sono neanche rese conto di aver messo addosso a David, il liberatore dei popoli, una sorta di burqa, che aveva l’inquietante parvenza di una camicia di forza che ha reso il suo orgoglio temporaneamente mansueto: una specie di surreale TSO in effigie. La sua postura nervosa e il suo sguardo fiero sono scomparsi per giorni dal panorama di una delle piazze più belle d’Italia e del mondo, grazie all’iniziativa iconoclasta di un manipolo di talebani di casa nostra, in giacca e cravatta, finti “progressisti” con un’indole da oscurantisti.

Quella gualdrappa color pece che ha avvolto il corpo sinuoso di David, davanti all’ingresso di Palazzo Vecchio, non ha affatto espresso il lutto per i morti di una guerra orribile (come lo sono tutte le guerre), era in realtà una mesta gramaglia per la scomparsa della ragione. Qualcuno dica a Nardella, che piange sulle violenze perpetrate dalla guerra, che anche il suo è stato un atto violento. Simbolicamente efferato perché, come diceva Chateaubriand, gli oggetti non rappresentano ricordi ma incarnano sogni che si prolungano nel tempo, quando di essi c’è maggior bisogno. La loro testimonianza più forte è nella conclamata presenza, non nell’assenza. Ma questo andrebbe fatto capire a chi al buonsenso antepone la sua smania di protagonismo.

A Nardella e ai suoi lenzuoli bisognerebbe sempre ricordare quello che scrisse il buon Pietro Aretino: «Il mondo ha molti re e un sol Michelagnolo». Con buona pace dei nuovi censori, più pericolosi di quelli vecchi proprio perché inconsapevoli. E chissà cosa direbbe il sommo artista, vilipeso e oltraggiato nel giorno del suo compleanno, se fosse qui con noi. Chissà come reagirebbe il suo temperamento collerico al cospetto di simili governanti di una penisola che un tempo era definita “il Belpaese”, e che ora è solo un avamposto di conquista per una schiera di nuovi barbari senza pensiero né dignità.

GIORGIO LEONARDI