Lucinde, una proto-femminista letteraria?

di CATERINA VALCHERA

Molto prima di Virginia Woolf e della stanza tutta per sé, la letteratura europea , per voce di Fiedrich Schlegel ci regala una figura femminile agguerritamente concentrata sul “partire da sé”, anche se in un territorio in qualche  modo circoscritto e di tradizione muliebre come l’amore:  è Lucinde (1799),alla quale il filosofo tedesco, quattro anni dopo Diotima, assegna il compito di esprimere con forza il diritto a ricercare la realizzazione di se stessa nella passione amorosa. Non basta. Si serve della protagonista di questa sua opera-che figura tra quelle “minori”, una definizione difficile da sostenere in termini puramente letterari- per elaborare una vera e propria dottrina dell’eros. Questa sorta di “tractatum eroticum” non solo destò scandalo (contribuendo già così all’emancipazione romantica della donna che sarà avversata fieramente da Nietzsche),ma lasciò sconcertati anche gli amici Novalis, Tieck e la puritana borghesia berlinese. A sproposito, perché Lucinde non fa alcuna apologia del libertinaggio femminile e non incarna semplicemente la rivolta contro le convenzioni; è piuttosto un costrutto ideale umano, il paradigma di una diversa umanità. Un libro religioso lo definì l’autore, che al romanzo fece seguire la Lettere confidenziali sulla Lucinde di Schlegel scritte dall’amico Schleimacher, unico vero estimatore dell’opera. “Non so se potrei adorare l’universo con tutta l’anima, se non avessi amato una donna[…]Forse che tu ami, se non trovi nell’amato il mondo?” Ancora parole dell’autore. Dunque Lucinde è il medium della concezione romantica dell’amore come nuova religione di iniziati “entusiasti”, una concezione elaborata da uomini poeti e filosofi. Siamo alle solite, vien da dire, la donna è pretesto per veicolare idee schiettamente maschili, elaborate da circoli culturali maschili. Non è così. A parte la presenza di donne vere cooperanti a livello culturale , come Bettina von Brentano, Caroline Schlegel, Dorotea Veit, Lucinde è una voce nuova che incarna l’anarchia del desiderio, la libertà dal pregiudizio contro il filisteismo del bourgeois e dell’Io. Schlegel sceglie lei, una donna, per affidarle il compito di “rappresentare” in carne ed ossa la costruzione dell’uomo (Bildung). Fino all’incontro con lei e alla conseguente “folle corsa del sentimento”, Iulius è perseguitato da un amore senza “oggetto”, assillato da vani tentativi, tormentato da un inutile vagabondaggio erotico, che “bruciava dentro di lui e lo corrodeva intimamente” e lo induceva a prestarsi a donne capricciose e dissolute, indolenti e viziate, come Lisette, che rimasta incinta di lui, scompare in un teatrale suicidio.  Poi l’incontro con l’ UNICA, quella che ha in sé tutte le donne e tutte le sfaccettature della figura femminile, soprattutto la versione libera e disposta a fantasie “ditirambiche”, compresa l’inversione dei ruoli con l’amante. Privo di vera trama, il romanzo passa attraverso fantasticherie, arabesques, riflessioni, assumendo registri diversi in una specie di scrittura poligenerica in cui si fondono lettera, idillio, invenzione fantastica, inserti filosofici, grotteschi, lirici. La fonte di questo disordine letterario è lei, Lucinde, il prototipo della donna come essere naturalmente umano, capace perciò di avviare l’altro al cammino di formazione attraverso tre stadi: il senso del corpo, il senso mistico e il sentimento di armonioso calore. In quanto donna, Lucinde è già “iniziata”,afferma Schlegel, e pertanto ogni donna potrà comprendere quel suo “piccolo e buffo libro”. Chiuderò con una sorta di palinodia. Se consideriamo la verità autobiografica che si cela sotto la finzione letteraria del romanzo, risulta che dietro l’impetuoso ritratto proto-femminista” di Lucinde c’è la storia di Brendel Mendelssohn, figlia del compositore Moses Mendelssohn, andata sposa al banchiere Simon Veit da cui si separò per sposare Friedrich Schlegel. Forse allora l’opera è molto più prosaicamente la sublimazione letteraria di un caso di adulterio con successivo divorzio, e si spiegherebbe così lo scandalo che suscitò nei circoli letterari di allora. Mi sono illusa. Lucinde non è un manifesto letterario proto-femminista, ma la trasfigurazione “mistica” di un fatto di corna. Molto poco bourgeois, ma non ancora femminista. Una prova che mi conferma nella palinodia: Brendel, cioè Dorothea, cioè Lucinde scrisse un racconto (o romanzo incompiuto?) intriso di pathos ed esotismo, dal titolo Florentin,che Schelegel pubblicò anonimo. I tempi per reclamare una stanza tutta per sé erano ancora lontani.

CATERINA VALCHERA