La cornice semantica della guerra

di VALENTINA DI GENNARO

Il sindacato di Polizia si è indignato per le mascherine ffp2 in dotazioni agli agenti e alle agenti di polizia, perché il colore che hanno inviato, il rosa, sarebbe indecoroso, non idoneo alla divisa. Meglio il blu. Il bianco. Il nero. 

Perché il rosa va bene a descrivere un codice per parcheggiare donne incinte. Per il grembiule delle bambine all’asilo, per le quote rosa nelle liste, ma non è adatto alla giustizia, alla legalità, all’autorevolezza.

Viviamo in una situazione emergenziale, ci viviamo da due anni, per di più nel mezzo di un dibattito pubblico sempre più aspro ed estremo e  che, estremizzandosi appunto, si è appiattito su se stesso in modo violento. 

Sarebbe opportuno, invece, inserire elementi di complessità a questo dibattito di tifoserie tra sivax, novax e nivax.

Elementi di complessità e di analisi. Soprattutto dopo il cambio di governo e all’investitura di Figliuolo, commissario straordinario per l’emergenza Covid.

Il movimento femminista, già dal primo lockdown del marzo 2020, ha iniziato un dibattito proprio sulla necessità di cambiare il linguaggio.  Di rovesciare il modo di discutere, su quale fosse il male e quale la cura. 

Contrapporre al linguaggio bellico, del generale in tuta mimetica, del simbolico della divisa, il suo opposto, quindi, che è il linguaggio della cura. 

Poco meno di un anno fa in molti si sono scandalizzati per le dichiarazioni di Michela Murgia riguardo il carattere simbolico della divisa: nominare un militare a fare il commissario dell’emergenza covid significava inquadrare la situazione in una cornice semantica di “guerra”. 

“La retorica di guerra è comoda: non cambia i nostri comportamenti e ci consente di pensare che l’esplosione della pandemia sia indipendente dai nostri stili di vita. Ci convince che siamo vittime innocenti, poveri ignari che siamo stati attaccati da una specie nemica. Quella della guerra è una narrazione falsa. Il virus non è un nemico a cui spezzeremo le reni, ma un organismo con cui dovremmo imparare a convivere ripensando i nostri comportamenti. Prima dismettiamo la retorica della trincea, prima acquisiamo quella del cambiamento.”

Per riuscire ad inserire questi elementi di complessità bisogna superare la logica meramente antimilitarista.

 Non credo oggi come non lo credevo un anno fa,  che ci sia in atto un golpe militare, non credo che ci sia una dittatura. Non credo nemmeno che il generale Figliuolo non sappia coordinare supporti logistici. E non credo nemmeno che le divise di per sé siano motivo di inquietudine.

In Italia, però, alla narrazione politica, alla riflessione collettiva, al dibattimento parlamentare e alla comunicazione ufficiale alle persone, si è preferito la narrazione dei “migliori”, una narrazione in cui non c’è bisogno di condividere scelte, la narrazione del generale in divisa dal pugno di ferro, una narrazione, quindi, militaresca. 

Non si può non sottolineare come storicamente le divise in Italia abbiano anche rappresentato elementi di eversione. 

Dai tentativi di colpo di stato, ai depistaggi, alle infiltrazioni, alle maschere del terrorismo nero. Ed è stato grazie ai movimenti democratici se adesso le forze armate e le istituzioni pubbliche sono a difesa e a tutela della popolazione. 

Non è un vezzo idealistico, che porta con sé l’antimilitarismo. Porta con sé invece la consapevolezza che abbiamo messo un militare a fare il lavoro della politica, un Presidente tecnico per gestire appetiti famelici, tanto da aver accettato anche la Lega: un unicum di trasversalità al mondo.

Mentre la mimetica fa il suo dovere, la politica ha fallito al ritmo del denaro europeo. Basti ascoltare il dibattito sulla nomina del futuro Presidente della Repubblica.

La questione è, appunto, complessa e articolata. Ma considerato che bisogna ed è necessario crearla questa complessità nel dibattito per non ridurla ad una semplice tifoseria, quello di cui vorrei si discutesse sono alcuni aspetti che riguardano questo particolare momento.

La complessità che si deve inserire nel dibattito è questa: non possiamo ridurre la situazione che stiamo attraversando al muove critiche  a questo Governo le nuove anche a vaccino e Green pass”: così troppo facile. 

È appunto la logica della guerra e degli schieramenti.

Le nuove regole di gestione delle positività e delle quarantene, senza un apparente progetto condiviso, indeboliscono proprio la credibilità della campagna vaccinale e della sue efficacia, che invece andrebbe salvaguardata.

Campagna vaccinale gestita dal generale Figliuolo, in questi ultimi giorni con delle evidenti criticità, che proprio non ci pensa a togliersi la divisa da alpino.

 In altre realtà lo stesso ruolo è assunto da civili, non certo da generali in tuta mimetica. 

Perché rappresentano una società tutta, laica, civile che si occupa e si prende cura di se stessa.

VALENTINA DI GENNARO