Il silenzioso avanzare della disgregazione della Repubblica.

di ANNA LUISA CONTU

Cacciata dalla porta l’Autonomia Differenziata richiesta da Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, rientra dalla finestra come collegato alla legge di bilancio 2021. 

Per un’analisi approfondita di che cosa sia l’autonomia regionale differenziata  e cioè il trasferimento di materie concorrenti , ma anche di materie di esclusiva competenza dello Stato, alle regioni a statuto ordinario, rimando ad un mio articolo apparso su Spazio Libero Blog.

Come si ricorderà, nonostante il silenzio della grande stampa, furono i “professoroni”, l’odiata élite intellettuale e qualche piccolo giornale che denunciarono il pericolo insito nelle  Intese che si stavano firmando tra le tre regioni del Nord e lo Stato . Queste Intese, espropriando il Parlamento e i cittadini, impossibilitati ad esprimersi con un referendum, miravano ad ottenere l’autonomia in numerosi campi della vita civile , secondo l’art. 117 della Costituzione, come modificato dalla riforma del Titolo V nel 2001. Nonchè la richiesta di trattenere le tasse che i cittadini residenti in quei territori pagano in quanto cittadini italiani. 

Queste intese furono presentate durante il governo Gentiloni e stavano sul punto di essere firmate durante il governo Conte 1, o meglio sarebbe dire Salvini-Di Maio. 

L’opposizione all’autonomia regionale come si prospettava nelle Intese trovò opposizione anche nell’alta burocrazia dello Stato che sottolineava il pericolo, non solo rispetto alla questione del bilancio dello Stato, ma anche della continuità territoriale. 

Col governo Conte 2 l’autonomia differenziata perse l’urgenza che sembrava avere avuto nei governi precedenti e forse tra i parlamentari, soprattutto i parlamentari meridionali, eletti in questa legislatura del 2018, cominciò a farsi strada l’idea dei pericoli che su sanità, scuola, difesa del territorio, infrastrutture, si stesse creando la divisione dei cittadini italiani in cittadini di seria A, residenti al Nord, e cittadini di serie B residenti al Sud.  

Ora la legge di bilancio reintroduce la questione, attraverso la definizione dei LEP , i livelli essenziali delle prestazioni, la cui definizione è obbligata dalla Costituzione,  senza che i cittadini abbiano conoscenza di ciò  o che avvenga un dibattito  tra l’opinione pubblica. 

Contro il silenzioso avanzare dell’autonomia differenziata recentemente si è tenuto al Senato una conferenza indetta da alcuni parlamentari e che ha visto la presenza del prof Villone, del prof Giannola, della prof Specchia, rappresentanti dei comitati contro l’autonomia, mentre il 22 dicembre si è tenuta una manifestazione in piazza SS Apostoli per denunciare il silenzio nel quale si sta consumando l’attacco all’integrità dello Stato e della Repubblica sotto il tentativo delle regioni settentrionali di liberarsi della “zavorra” delle regioni meridionali, accusate di  mala amministrazione e persino , da certa pubblicistica,  di incapacità antropologica. 

In realtà il divario devastante tra le due parti del paese è dovuto al sotto finanziamento delle regioni meridionali; per riequilibrare questa disparità rispetto al Centro Nord lo Stato dovrebbe trasferire circa ottanta miliardi  al meridione per garantire pari diritti di cittadinanza a tutti gli italiani.  Per fare un esempio eclatante, sugli asili nido, la spesa pro capite in Valle D’Aosta  è di € 1900, in Emilia Romagna €1729, nel Lazio €654, in Molise €364, in Basilicata €324, in Calabria €219 ( questi dati sono tratti dalla relazione di Del Monaco al Senato) .

 Per ritornare ai LEP, come afferma il prof Villone, essi non sono dirimenti rispetto al pericolo di regionalizzazione, per esempio, della scuola. Se pure ci fosse l’eguaglianza delle prestazioni, della spesa pro capite, delle strutture scolastiche, uguali in tutte le regioni, questo non impedirebbe che la gestione, quindi il potere di organizzare, spostare personale, programmi e quant’altro, passi alla Regione . “Si potrebbe avere la perfetta eguaglianza nell’ assegnazione delle risorse e la  perfetta frammentazione sotto il profilo nell’ organizzazione del servizio scolastico” ( Massimo Villone). 

Naturalmente questa frammentazione non ci sarebbe se le forze politiche dicessero chiaramente che la Scuola non si regionalizza, le Infrastrutture ( porti, aeroporti, autostrade, ecc) non si regionalizzano , la cura del territorio non si regionalizza, ecc.  Tuttavia sembra che tra le forze politiche non ci sia consapevolezza del pericolo che corre la Repubblica se si insiste sull’applicazione di un regionalismo come modificato nel Titolo V. Il Pd ha il problema del presidente Bonaccini in Emilia Romagna, la destra esprime senza remore gli interessi del Nord, ( come concilierà la Meloni il suo “patriottismo” con la disgregazione dello Stato non è dato sapere ),  il Movimento 5Stelle, che ha ( o ha avuto) nel sud il suo serbatoio di voti , ha un atteggiamento incomprensibile, oltre ad aver messo l’Autonomia Differenziata tra i punti del contratto di governo con Salvini.  

Certo c’è la Cgil che nel recente passato ha organizzato una grande manifestazione a Reggio Calabria , e i piccoli comitati sorti in ogni città e paese, la resistenza degli insegnanti in difesa della scuola della Repubblica. Ma basterà?

ANNA LUISA CONTU