Il posto più bello di tutti
di VALENTINA DI GENNARO ♦
Corso Marconi, a cavallo tra la fine degli anni ‘60 e gli inizi degli anni ‘70, è in rapida evoluzione. Non ancora salotto della città, ma neanche solo case nuove della ricostruzione.
I palazzi costruiti sui pilastri che ne costituiscono i portici nascondono la “Civitavecchia sotterranea” con i resti di Corso Umberto, la prima strada.
A Piazza Calamatta ci sta ancora l’ospedale cittadino, che proprio agli inizi degli anni settanta si trasferirà nella parte alta della città, nel complesso che lo ospita tutt’ora.
L’apertura dell’autostrada A12 rende Civitavecchia una delle mete delle gite domenicali dei romani, che nel lungoporto vengono a mangiare nei ristoranti di pesce.
Le attività commerciali ancora non sono moltissime, ci sta il parrucchiere Peppino, un negozio di giocattoli, un negozio di bilance, due di abbigliamento, un negozio all’ingrosso di banane, una concessionaria auto e la pasticceria.
La matrona indiscussa della pasticceria è mia nonna Libera, donna dai modi bruschi e perentori, di chi ne ha viste molte.
Mia madre inizia a lavorare lì da sedicenne, diventa molto amica di mia zia, insieme combinano qualche piccolo guaio adolescenziale.
A volte fanno tardi a lavoro. Inventano delle scuse. Lei si lecca il dito indice, lo picchietta sulla cassa. “N’attacca!”
Ha un debole per le divise. Soprattutto per l’arma dei Carabinieri, la vicinanza della loro caserma li rende clienti abituali. A lei sembra un riscatto sociale, una scalata nella società bene.
Tiene spesso mia sorella in braccio alla cassa, la fa giocare con il telefono, compone numeri a caso. Non serve ancora il prefisso per le urbane, quindi basta poco per intercettare una vera utenza telefonica.
Lei ha davvero pochi anni e qualcuno risponde dall’altra parte del telefono, mia nonna sente una voce, afferra la cornetta per scusarsi, risponde la voce di un uomo gentile, le dice che invece quella telefonata con la voce di una bambina ha reso luminosa una giornata cupa. Era Virginio Sacchetti.
Intere generazioni cresceranno a cornetti con la crema lì intorno.
Tra Corso Marconi, Lungoporto Gramsci e Sottoportici del Consolato ci abitano e giocano insieme tutto il giorno, i fratelli Sandro e Dino Marrani, Maurizio Cimino, Massimiliano e Stefano Bonifazi, Sebastiano e Gino Corvi.
Sebastiano è di casa.
La quantità di palloni che mia nonna Libera ha bucato loro!
Giocavano in quello spazio sotto i portici, vicino ai “merli” del lungoporto, spesso qualche pallonata sbatte sulla vetrina laterale della pasticceria.
“A regazzì, annate a giocà a casa!”
Quando nasco io, invece, sono ragazzi appena ventenni, Dino morirà in un incidente stradale a metà degli anni ‘90 e Maurizio negli anni duemila.
Lutti profondi per tutti noi.
Passeggerò per mano a mio padre in lungo e in largo per Corso Marconi per tutta la mia vita.
La movida, lo shopping, l’attenzione sembra essersi spostata altrove.
Ora è una via che giace in decadenza, come tutti i suoi personaggi.
Eppure è ancora un posto così bello. Il posto più bello di tutti.
VALENTINA DI GENNARO
Cara Valentina, sarebbe stato un post da me frequentatissimo, golosa come sono! Sono belli questi ricordi che lasciano….(in questo caso più che mai) una certa dolcezza. Occorre guardare al futuro, certamente, ma ci sono motivi ben validi e fondati se ci piace rispolverare i ricordi. Mi spiace di non essere nativa di Civitavecchia, perché non posso collaborare in questo settore! Ma seguo tutti voi con tanto piacere e il tuo articolo, i tuoi ricordi, sono uno spettacolo talmente vivo e coinvolgente che mi è parso di vedere un filmato. Grazieee
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Silvio Serangeli
Cara Valentina, mi ricordi il mio mondo da ragazzino che abitava nell’ala meno nobile di palazzo Ferrari (137 scalini!). Sulla piazza si affacciava la salumeria di Nando e accanto la ferramenta del sor Pecorelli, sempre con il cappello da Marinaio (era il papà del maestro Gaspare), all’angolo c’era il casotto dove troneggiava la Mammanona, la madre di Giulio e Vittorio Saraudi, dove a una certa ora del mattino arrivavano lemme lemme il marito e il fratello (tutti e due ex pugili) con il loro cane lupo spelacchiato. Il barbiere, proprio di fronte alle tue pastarelle, che si chiamava Agostino era famoso per le docce, frequentate dagli uomini di mare e per la barbe del sabato. Aveva uno strumento unico per l’epoca, indispensabile per i capelli alla tedesca con sfumatura altissima imposta a noi ragazzini. Aveva avuto in qualche modo, diceva lui dagli americani, una macchinetta elettrica per il taglio. «Ragazzo, spazzola! Ringrazia il signore» era compreso nella cerimonia con i clienti più in vista che lasciavano la mancia al ragazzino di bottega Franco. Di fianco c’era Foto Mauro, il cui minuscolo studio era in continuo contatto, compreso un buon numero di scommettitori, col negozio di barbiere per la compilazione delle schedine del Totocalcio. Questo ricordo, poco prima, ma anche dopo, che che arrivasse tuo nonno. Dall’altro lato, all’angolo con via XVI settembre, c’era la pasticceria del sor Mario Mori. La superavi e incontravi le piccole meraviglie di Pugliesi. Guardavi la vetrina e correvi a scuola.
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Commossa rievocazione, Valentina. Io Frequentavo assiduamente, all’epoca, il civico 23. Al primo piano aveva sede la Cgil con segretario il nostro Fabrizio, all’ ultimo la mia fidanzata di allora. Ovviamente Danilo era una tappa fissa, così come, la domenica pomeriggio, la pizzeria di via Stendhal il cui proprietario -di cui mi sfugge ora il nome, aprì poi il Gran Caffè al viale.
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E Dio cessò il settimo giorno ogni lavoro che aveva fatto e lo consacrò.
E fu subito Danilo.
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