NEI CIELI DI CORK

di GIORGIO LEONARDI ♦

Cork è una storica città del sud dell’Irlanda, capoluogo di una verde contea solcata dal fiume Lee che la attraversa e prosegue nel suo percorso, allargandosi in zone paludose e sfociando infine nell’Oceano Atlantico. Nella sua lunga storia ne ha conosciuti di episodi cruenti, dalle scorribande vichinghe fino agli scontri armati sotto le insegne dell’IRA. Ma il più eclatante fatto di sangue della sua storia non è avvenuto tra le vie delimitate dalle austere moli architettoniche di palazzi in stile georgiano o tra le placide sponde del fiume. Era il 7 ottobre del 1621 e nei cieli di Cork venne notata un’inconsueta adunata di uccelli, di storni, per l’esattezza. A migliaia sembravano essersi dati convegno tra i rami degli alberi, sui tetti delle case, sulle torri, ovunque potessero posarsi le loro zampe. Gli abitanti di Cork notarono che gli uccelli avevano formato due nutrite schiere ben distinte, assembrandosi rispettivamente sul lato est e su quello ovest della città. Non era insolito, da quelle parti, vedere gruppi di storni solcare i cieli, ma quell’incredibile numero di volatili tutti insieme non si era mai visto prima. Una volta raggruppatisi, nei punti più alti della città, iniziarono a emettere strani versi e a manifestare un’evidente agitazione. Le cronache del tempo riportano un comportamento assai singolare: delegazioni di uccelli (nel numero di circa venti o trenta esemplari) partivano a intervalli irregolari da uno e dall’altro schieramento per recarsi nello schieramento opposto, come per portare delle ambasciate o per intavolare dei negoziati. Dopo aver esposto quelle che dovevano essere le loro ragioni, tornavano alla base innescando un conciliabolo generale. Da tali movimenti apparve chiaro che erano in atto complesse diplomazie. Tuttavia, a giudicare dall’inquietudine che allignava tra quei pennuti, si capiva anche che doveva tirare una brutta aria. Queste operazioni durarono per qualche giorno, sotto l’occhio incredulo e curioso dei cittadini di Cork. Fino al 12 ottobre, quando alle ore nove di un mattino soleggiato, contemporaneamente, le due fazioni levarono in alto strani versi di guerra, spiccarono il volo dalle loro postazioni e si fronteggiarono in cielo, scontrandosi con una furia a dir poco epica. Tra strida selvagge e un assordante frullare di ali, migliaia di storni combatterono una misteriosa battaglia aerea, senza esclusione di colpi. I becchi degli uni affondavano selvaggiamente nel piumaggio degli altri. E quello scontro violento e barbarico (al netto di una strana breve tregua in mezzo alle ostilità) imperversò fino al 14 di ottobre. In quei giorni di sangue caddero su Cork, come sassi dal cielo, centinaia di storni straziati, feriti a morte, dai colli ritorti e dalle ali spezzate. E piume insanguinate volteggiarono in aria prima di adagiarsi al suolo. Piovvero uccelli moribondi sulle strade, sulle case, nei giardini, sulle teste delle persone. Sembrava l’apocalissi. Notte e giorno durò quest’insensata mattanza, quest’ebbrezza collettiva, questa guerra civile ornitologica dai contorni arcani che oscurò il cielo brulicante di Cork.

Poi, di colpo, forse dopo aver regolato la questione o semplicemente per stanchezza, gli eserciti si dispersero, senza vincitori né vinti: tutti gli uccelli superstiti volarono via e non si videro più storni vivi sopra i tetti di Cork. La gente iniziò allora a rimuovere l’enorme quantità di carcasse che ricopriva la terra.

Quest’incredibile storia è riportata, tra gli altri, da un cronista d’eccezione, Samuel Pepys (1633-1703) nel suo opuscolo di nove pagine intitolato “The Wonderfull Battell of Starelings, fought at the Citie of Corke in Ireland, the 12 and 14 of October, 1621”, pubblicato a Londra l’anno successivo. Nel suo libello sulla battaglia degli storni di Cork lo scrittore non si limita, comunque, a riferire l’accaduto ma azzarda un’ipotesi: il sanguinoso scontro in cielo è un evidente segno di Dio, un chiaro e inequivocabile indizio della collera divina a causa della degenerazione dei costumi umani. Non sappiamo se Pepys credesse davvero a questo movente sovrannaturale o se la sua esegesi fosse semplicemente indotta dalla necessità di accontentare il suo editore, quel Nicholas Bourne che era un fervente calvinista e che non sarebbe stato affatto disposto a pubblicare un semplice resoconto privo di intenti moraleggianti. Del resto Pepys era un uomo di mondo, che sapeva come comportarsi alla bisogna. Non disdegnava le serate mondane con annesse bevute e lazzi ai tavoli da gioco. Un comportamento che certo non avrebbe disposto nella giusta maniera un calvinista osservante come Bourne.

Tuttavia, a voler considerare la questione in termini puramente laici, non si può non leggere in questo tragico e scenografico evento una potente metafora alata dell’insensatezza della guerra, che non conosce veri vincitori e lascia al suolo cadaveri di entrambe le parti, come vittime sacrificali sugli altari del Nulla o come reliquie trascurate negli ossari della Storia. La guerra, dunque, come una “Grande Illusione” (per riprendere il titolo del saggio politico-economico che Norman Angell pubblicò nel 1909, in cui smascherava l’assoluta inutilità di ogni conflitto). Un’illusione che tuttavia fagocita vite umane, come quella di un Jean de La Ville de Mirmont, talento letterario cristallino, precocemente stroncato nelle trincee della Prima Guerra Mondiale. O come quella fittizia di un Hans Castorp, il protagonista de “La montagna incantata”, che lascia il sanatorio sui monti per arruolarsi ed essere inghiottito dalle nebbie simboliche di una morte certa. Thomas Mann non lo dice, ma il lettore sa che Hans non tornerà più indietro, neanche da disertore, come Jurij Živago, ad esempio.

Per la cronaca, per gli abitanti di Cork la cosa non finì comunque con la moria di storni. Sette mesi dopo, il 31 maggio del 1622, quando l’eco di quei singolari eventi era quasi spenta, un nuovo singolare accadimento venne dal cielo sopra la cittadina irlandese. Un’incredibile tempesta di fulmini si abbatté per tre ore sul centro abitato, appiccando roghi spontanei e distruggendo circa 1500 case, seminando il terrore tra la gente che si riversò freneticamente nelle strade. Ecco un altro monito celeste, ribadirono i timorati di Dio. Fuoco che piove dal cielo: era Sua persino la modalità, era scritto nella Bibbia. Qualcosa di ancora più terribile nei confronti dell’umanità stava certamente covando nella mente dell’Onnipotente. Ma poi quei giorni funesti e carichi di tristi presagi passarono, come tutto passa, e i cruenti fatti di Cork rimasero nelle pagine di quella grande narrazione che è la Storia. Dopotutto, come scrisse Isaac Singer, «Dio è un romanziere e il mondo è il suo romanzo».

GIORGIO LEONARDI