IL VECCHIO E L’ALBERO.

di CARLO ALBERTO FALZETTI

Si racconta che un Vecchio avvertì, in un giorno d’autunno, un certo malessere diffuso. La sua temperatura corporea stava crescendo ed il respiro si faceva affannoso di minuto in minuto. La tosse cominciava a tormentarlo.

Si racconta che un Giovane si avvicinò al Vecchio che se ne stava seduto su una panchina posta in un parco pieno di verde.

GIOVANE.  “ Ascoltami Vecchio. Per quanto mi possa dispiacere penso sia giusto che la sorte ti abbia toccato.

Tu hai raggiunto la pienezza. Sei fuori del circuito. Tu non sei, da tempo, più utile al sistema. La tecnica ha assoluto bisogno di forze attive per progredire. Il nostro futuro è ricolmo di speranze, di progresso, di crescita.

Tu hai compiuto il ciclo, non puoi, da tempo, servire più la tecnica. Un tempo, certo hai servito di buon grado, hai prodotto, hai assecondato il progresso.

Vedi, Vecchio, la Natura ha una norma fondamentale: proteggere ad ogni costo la specie sacrificando l’individuo quando questo ha esaurito il compito che gli era stato assegnato: crescere, invigorirsi, apprendere, lavorare, produrre, generare, sostenere la prole.

Colpire me, uomo produttivo, utile al sistema sarebbe un vulnus per il meccanismo .  Per te l’annientamento indotto dall’epidemia virale è solo una delle possibili, naturali cause che la Natura escogita. Forse un’anticipazione, ma certo nulla di straordinario.

Quelli che da vecchi se ne sono andati d’un colpo senza essere circondati da affetti ed estremi saluti? Tutto normale, dunque!

Il Giovane terminato il suo discorso salutò l’anziano signore e scomparve dalla sua vista. A pochi metri dalla panchina era ben piantato a terra un frondoso albero di vetusta età.

L’ALBERO . “Vecchio, avvicinati! Poni le tue mani sul mio tronco. Accarezza la mia corteccia. Sei scosso per quello che ha detto il Giovane?

Non esserlo, Vecchio, lui ha molta ragione dalla sua parte. La Natura deve servire l’innocente Necessità di rinnovarsi continuamente. Ma c’è qualcosa che il Giovane non ha compreso  e che tu, solo ora, puoi comprendere. Vedi tu, Vecchio, a differenza del giovane puoi permetterti di  essere pienamente consapevole di questa Necessità. Puoi farlo, se vuoi.

Vecchio, ti scongiuro, fa propria questa Necessità per quanto essa ti possa sembrare estremamente crudele. Il  tuo consenso è essenziale perché tu possa finalmente ritenerti libero. Il Giovane non è libero, è mosso dal divorante desiderio di finalità. Le esigenze del suo IO sono inarrestabili. Questo deve fare, questo impone la Necessità per lui.

Ma tu, Vecchio, puoi essere finalmente libero. La vecchiaia non è l’ultimo stadio della vita, credimi. E’, invece, il primo momento in cui puoi liberarti del tempo personale, del tuo tempo. Immagina, è come se tu, arditamente ma con fatica, avessi risalito il mio lungo tronco. Ora sei sulla cima, non puoi più andare oltre, sei fuori del tuo tempo che tutto si è consumato. Il tuo tempo è terminato, il tempo del desiderio, il tempo della sessualità, il tempo dell’utilità sociale, il tempo del fare, il tempo del tuo IO.  Seppellendo il tuo tempo vissuto, puoi finalmente assaporare il tempo del mondo, il tempo impersonale. Comprendi? Assaporare Il tempo puro, non inquinato dalla ingombrante presenza del tuo IO!

Io, Albero della Natura, ho facoltà di leggere nel tuo animo. Leggo, con soddisfazione, che il senso del “limite” ha iniziato a far breccia. Ora tu sai quanta pace il limite può darti nel poco tempo che ti resta”.

Il Vecchio fece come l’Albero aveva detto. Strinse il tronco, guardò in alto. Immaginò d’essere sulla cima.

Avvertì un senso di libertà mai sperimentato prima. La Natura compensò il suo drammatico stato di ansia in qualcosa di incerta definizione: come se un demone, una sorta di “buon demone” fosse entrato nel suo cuore, placandolo.

Si avviò verso l’Ospedale a passo lento. Aveva  un forte bisogno di respirare e di riposare in un letto. Ma avvertiva una inusitata serenità.

Il demone, il buon-demone lo accompagnava. Il Vecchio aveva accettato la Necessità ed accettandola si era reso libero.

Dopo la morte del Vecchio, per lungo tempo il Giovane avrebbe desiderato, prodotto, generato utilità, rincorso finalità, tentato di superare limiti, sperato.

Trascorsi molti anni qualcuno (forse lo stesso vecchio albero), avrebbe rivelato al Giovane non più giovane che il buon-demone, Eu-daimonìa, era il modo consueto con il quale lo spirito greco traduceva il termine “felicità”.

CARLO ALBERTO FALZETTI