Immagine della città
di ROSAMARIA SORGE ♦
Ci sono due modi di affrontare l’Urbanistica, uno di tipo storicistico e l’altro più concreto che rifiuta di separare l’interpretazione estetica della città dalla concretezza dell’esperienza pratica.
In questo breve articolo voglio concentrarmi su questo secondo aspetto con la convinzione personale che un intervento sulla città deve svilupparsi al di fuori di una estetica che sia imbrigliata tra rigidi concetti che possano trasformarla in un ” celebral reverie ” .
La forma della città nasce dall’interazione tra l’ambiente naturale così come si è sedimentato nel corso dei millenni e l’intervento dell’uomo; le tecniche di pianificazione altro non sono che un sistema per conferire alla città un ordine formale; ma spesso le tecniche tramandate e che rappresentavano il complesso delle leggi precostituite sul disegno urbano hanno mostrato tutta la loro inadeguatezza, non riuscendo poi nel concreto a controllare una condizione che per sua natura è dinamica e che si trasforma a velocità straordinaria.
Un approccio più sperimentale che non va alla ricerca di una nuova estetica ma si concentra sugli oggetti
del campo e cerca di decifrarne i caratteri simbolici e i significati astratti potrebbe essere più incisivo e permettere la costruzione di griglie più flessibili e dinamiche.
Grazie a queste griglie interpretative il disegno della città potrà riproporsi in una dimensione funzionale come metodologia configurativa, fermo restando che sottrarre il disegno urbano all’astrazione delle formulazioni accademiche non lo sottrae ad una sintesi individuale creativa e ad un soggettivo giudizio estetico.
Le città sono precipuamente l’ambiente in cui si forma cresce e vive un individuo umano con le sue sensazioni elementari e le sue necessità pratiche e la chiarezza percettiva degli elementi della scena urbana è una qualità fondamentale per stabilire un legame emotivo con il mondo esterno; ma la percezione della città cambia da individuo a individuo e cambia al modificarsi delle condizioni esterne, una caratteristica rimane costante in ognuno di noi e in tutte le possibili situazioni ed è la capacità di orientamento dell’individuo, caratteristica specifica di tutti gli esseri viventi, bisogno primordiale che trova soluzione in indicazioni sensorie ricavate dall’ambiente esterno attraverso il colore, la luce, la forma, il movimento, l’olfatto, l’udito, il tatto ma anche la percezione della gravità e dei campi magnetici.
Vi sono pertanto una serie di requisiti che danno forma alla città e da cui non si può prescindere, requisiti qualitativi e quantitativi come l’Accessibilità che fornisce la modalità di interazione e la comunicazione ; l’Adeguatezza cioè la qualità delle attrezzature e la loro disponibilità, quelli che generalmente costituiscono gli standards urbanistici; la Congruenza che altro non è se non il coordinamento delle parti, la corrispondenza tra le strutture e il suo funzionamento; la Adattabilità, la capacità di adattamento a nuove funzioni; La Resilienza, parola oggi di moda che significa per una città la capacità di assorbire improvvise tensioni e riprendersi in tempi brevi; la Leggibilità che è una caratteristica percettiva che ti permette di interpretarla e orientarti e che è alla base della bellezza di una città; la Sicurezza cioè la capacità di ridurre al minimo qualunque rischio; la Sollecitazione, il riuscire a stimolare in maniera positiva le persone; L’ Efficienza che ha forte incidenza sulle manutenzioni e sui costi urbani ma incide anche sui costi sociali ed amministrativi; la Varietà di servizi, di funzioni,e la mescolanza spaziale di queste variazioni.
Tutto questo costituisce un approccio alla pianificazione molto concreto che lascia a margine le considerazioni sulla città storica che deve spesso la sua nascita e sviluppo a ragioni di difesa, di approvvigionamento delle risorse, nonché a ragioni simboliche legate a quelli che erano i valori dominanti; ma una volta compiuta nelle sue parti essenziali la città va gestita nelle sue innumerevoli trasformazioni e allora si pongono problemi di carattere metodologico che possono essere individuati ma che per essere risolti o per lo meno affrontati necessiterebbero di minore dispersione di energie e maggiore velocità di scelte decisionali che in società organizzate secondo i modelli occidentali non sempre si raggiungono .Nel nostro sistema economico e sociale ci sono elementi che fanno da freno al raggiungimento degli obiettivi , mentre sul piano tecnico non mancano ormai i protocolli di intervento in grado di operare al meglio.
Vorrei concludere queste brevi note riportando l’attenzione su Civitavecchia e vorrei stimolare una ripresa del discorso sulla immagine della città; è arrivato il momento di uscire da decenni di trascuratezza che ne hanno fermato la crescita sul piano formale, come volano di ripresa economica innovativa e sostenibile,e su piano del capitale sociale ridottosi nel corso degli anni, come condizione essenziale per una comunità di destini.
ROSAMARIA SORGE
La “città storica” può essere un freno nel momento in cui la sua conservazione rallenta i processi evolutivi del tessuto urbano e societario, ma diventa un momento identitario e propulsivo nel momento in cui, liberatasi delle inutilità e dei non valori, diviene il segno identitario di una comunità proiettata verso la “città futura”. Tradotto penso che sia un valore la conservazione e la valorizazione di quelle poche cose autentiche che hanno un proprio importante valore, per il resto non ci si può negare il futuro per conservare, e non se ne sa il perchè, strutture e modi di essere, non antichi ma “vecchi”. E’ importante cioè comprendere cosa sia bene conservare e valorizzare e di che cosa sia bene liberarsi, non solo parlando di meri immobili, ma anche di strutture e manifestazioni sociali.
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Il tuo è un importante articolo che informa e chiarifica,collaterale al mio interesse che riguarda l’antropologia urbana.Mi riservo di commentare in seguito, grazie!
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Cara Rosamaria, anche il metodo storicistico concepisce la storicizzazione come processo critico che conduce al riconoscimento dei valori d’arte, ma, aggiungerei, un’esigenza di concretezza alla quale tu ti richiami. Ad esempio, la ricerca stratigrafica permette di ricostruire antefatti e di acquisire la documentazione preziosa della città. Credo, quindi, che anche la ricostruzione di un complesso urbano porti un ” recupero” nella dimensione del tempo. Rarissimi sono i complessi giunti a noi nella loro integrità, penso alle distruzioni della seconda guerra mondiale, le cui storie rappresentano l’epopea nostra e dei nostri genitori, epopea tragica che non siamo capaci di superare e che, direi, ha mutato oltre all’aspetto urbano anche il nostro DNA. A ciò si aggiungono i rimaneggiamenti della ricostruzione e dell’epoca dei palazzinari. Ma l’impianto urbanistico, che da noi fu l’ideazione storico culturale rinascimentale e seicentesca, ci porta come risultato una somma di contributi che sono il ” divenire nel tempo “, esclusivo del fatto urbanistico. Scusa se io ancora vedo la città ideale di un Enea Silvio Piccolomini, con il Porto Storico fino alla Piazza Leandra, sicuramente il forum, collegati dalla prima, seconda, terza, quarta strada, scalate in un arco indefinito di tempo, ma delle quali, tu giustamente dici, si è perduta la coscienza della ” congruità” ambientale.
Civitavecchia ha sofferto in primis delle servitù militari ed energetiche, ma anche del rinnovamento edilizio con l’intenzionale distruzione nelle fasi delle ricostruzioni. Ma tu ben dici come anche in questo settore urbanistico vi sia un problema di RESPONSABILITA’ e di COSCIENZA, di circostanze e purtroppo di disponibilità finanziarie.
Il concetto romano di utilitas, che è la tua ” funzionalità “, era ben evidente nell’impianto traianeo e nel primo Seicento con i mecenati pontefici. Si può dire che l’utilitas apra la strada al tuo progetto, quello del rapporto tra architettura e uomini, di profitto tratto dai gruppi umani ed inteso non solo in senso utilitaristico, ma suscettibile di interpretazioni, utilitas morale, ideologica e culturale, accanto a quella strumentale ( necessitas et voluptas come esigenza della humanitas in Cicerone ed Orazio).
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Paola, magari evitando i riferimenti agli antichi, potresti esprimere il tuo pensiero in modo più semplice ed immediato.. 🙂
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