L’OSCURITÀ È ARRIVATA

di SIMONETTA BISI ♦

                                                                                              Che in tutto fra tutte suprema sia
la legge del mercato, che a lei deva
subordinarsi restando utopia
per sempre tutto quello che solleva

                                                                                              l’uomo da se stesso sembra alla mia
mente quasi incredibile. Ma alleva
menti per crederci l’economia
trionfante, fa che ciascuna s’imbeva

                                                                                             di quel credo miserabile e creda
a esso fieramente come al più santo
vangelo; e non ha scampo chi rimpianto

                                                                                            dell’altro s’ostina finché non ceda
di schianto il cuore a provare e di noia
trema dove per altri è ottusa gioia.

                                                                                                      Giovanni Raboni

 

Su un punto gran parte del pensiero contemporaneo ha ormai pochi dubbi: qualcosa è finito, forse per sempre. Le categorie di pensiero del passato hanno perso di consistenza e non ci soccorrono. Siamo in un momento di passaggio, di vuoto, di transizione: tutto appare obsoleto e sostituibile, ed è obsoleto proprio in quanto sostituibile, intercambiabile. Le linee del nuovo mondo sono ancora estremamente vaghe; sul ‘se’, sul ‘come’ e sul ‘cosa’ sia iniziato nessuno, o quasi, si pronuncia: si naviga a vista, si brancola, la meta è invisibile, l’approdo è di là da venire. Ammesso, poi, che abbiano ancora un senso parole così intense, e così cariche di evocatrice simbologia: parole come ‘meta’, o ‘approdo’, che sembrano ormai superate, o per lo meno compromesse, come, del resto altre parole quali ‘arte’, ‘emancipazione’, ‘bellezza’, ‘progresso’, ‘conquista’, ‘cultura’.

Sembra dilagare quello che possiamo chiamare un disturbo nella percezione di ciò che è la realtà, con la conseguenza di una perdita di orientamento nel rapporto con l’altro e con il mondo che si riflette nella perdita di orientamento nelle questioni politiche. Si sta realizzando una duplicazione della realtà sensibile nella virtualità. La democrazia dell’opinione sta sostituendo la democrazia dei partiti politici, con l’effetto di produrre una instabilità imprevedibile.

Con l’aumentare della velocità della comunicazione, la politica traccia una traiettoria che mescola frammenti tecnologici di un futuro che probabilmente non sarà mai realizzato, con appelli emotivi verso un passato che non ha ancora perso la sua presa sulla scena contemporanea. L’umore dei tempi sembra virare tra i segni tangibili di esaurimento della forza dei centri di potere, l’aridità morale delle élite e il dilagare di comportamenti predatori che si traducono in risentimento e disperazione: aggressione contro i deboli, i vulnerabili, i senza potere. A un forte desiderio di cambiamento, di trasmutazione verso qualcosa di fondamentalmente nuovo, fa da contraltare una radicale incertezza, il sospetto che non vi sia nessuna trasformazione all’orizzonte, che questa sia The dark Night of the Liberal Spirit and the Dawn of the Sauvage[1]. Michael Weinstein, studioso poliedrico della contemporaneità, critica ferocemente il liberalismo americano, che vede scomposto e decostruito, scardinato dalla vita da un dubbio corrosivo e nostalgico, la spasmodica speranza di progresso. Ma la “visione dinamica” del continuo cambiamento, come la definì Karl Mannheim, inestricabilmente associata alla modernità, ha lasciato il posto a una coscienza postmoderna pura negazione dialettica della coscienza moderna, chiusa in un abbraccio con essa, decretando il suo essere come forma statica.  La nostalgia di un’unità perduta traduce la privazione in desiderio di novità. Le aspettative incerte generano una forma di esistenza in cui le attività quotidiane sembrano svolgersi distaccate da qualsiasi significato unificante. Il senso del dovere si è rotto, dividendo la società in due forme di vita: quella dei predatori e quella dei parassiti.

L’emergere del deserto digitale in assenza di coscienza morale porta, secondo Weinstein, a due tipologie di comportamenti: “acedìa” culturale (indifferenza, vuoto interiore, immobilismo) e “spirito di guerra” (terrorismo islamista, neo nazionalismo aggressivo). Con buona pace di ciò che Talcott Parsons avrebbe ottimisticamente interpretato come il “miglioramento adattativo” del sistema sociale nel tempo del digitale.

Quasi tre decenni dopo l’eclisse dell’illusione palingenetica del comunismo, e quindici anni dopo gli eventi scatenati dalla tragedia dell’11 settembre 2001, la guerra globale al terrore ha generato la minaccia per i diritti umani, con il rischio di produrre un disfacimento di quell’architettura internazionale dei diritti prodotta dopo la Seconda Guerra. In ogni giudizio sulla situazione le risposte sono controverse, si diffonde il timore. Anzi: si assegna alla paura il fine di alimentare i conflitti, di accettare l’uso della forza, di non riconoscere il dolore degli “altri”, negandone la dignità, e di ritornare a quelle riserve del passato ancora disponibili, ridotte e semplificate. Compaiono nuove religioni, nuovi personaggi, e forse un nuovo Behemoth, il mostro del caos, nell’escatologia ebraica, (insieme al Leviathan), si sta affacciando, pronto a manipolarci.  Il richiamo obbligato è a Franz Leopold Neumann e al suo lavoro, Behemoth: Struttura e pratica del nazional socialismo,1933-1944[2] in cui l’autore analizza il carattere dell’imperialismo nazista e la sua incompatibilità con un regime democratico, andando oltre la visione più comune del regime come pura violenza terroristica e oppressione della cittadinanza[3].

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Non è necessario in questa sede entrare nel merito di questo poderoso lavoro se non per ricordare come Neumann affronta il nazionalsocialismo: come un fenomeno globale che vede al centro della sua analisi il nesso tra le forze economiche dominanti e l’organizzazione politico/burocratica, a cui si aggiunge il dominio carismatico del capo, in grado di manipolare le masse e averne il pieno consenso.  

In molti hanno sottolineato alcuni tratti della contemporaneità che ci riportano – in chiave attualizzata – al periodo di Weimar, con particolare riferimento alla perdita della distinzione tra destra e sinistra, oramai quasi ovunque pronte a unirsi o disunirsi secondo convenienza, al dominio della finanza e alla disillusione dei singoli che vedono il loro mondo promesso in declino.

La possibilità di un recupero di quanto si è perso solletica umori angosciati dal presente, la tradizione – con le sue regole di esclusione e di limiti all’autodeterminazione – viene vista come un argine all’esproprio dei poteri di un genere, possibilmente maschile, di una razza, quella bianca, di una religiosità tradizionalista. Se la nuova politica (pseudo politica) si fa espressione di tutto ciò, coinvolgendo sui social soggetti carichi di rabbia e di odio, il risultato se non scontato diventa probabile. Una efficace megalomania, intesa come formula politica trionfante per progetti imperialistici sempre più fanatici, potrebbe trovare crescenti consensi. Forse in nessun luogo come nell’attuale governo italiano è così visibile la combinazione in un magma indistinto di un populismo qualunquista e di una destra sovranista con una vena fascistoide.

Ogni fatto è utile a fare propaganda, ogni mezzo è da utilizzare per accrescere il consenso, per alimentare l’indignazione popolare scaricando tutta la responsabilità sui governi precedenti, sulle odiate élites fonte di ogni nefandezza, sui misteriosi ma tanto evocati “poteri forti”. I nuovi sono i “puri”.

Un esempio nella situazione italiana, uno fra tanti: la tragedia del crollo del Ponte di Genova. I ministri del governo giallo-verde hanno prontamente chiamato in causa chi aveva governato in precedenza, unici colpevoli, e non fa niente se anni prima proprio i loro partiti si erano opposti alla costruzione di un’infrastruttura che alleggerisse il ponte Morandi, se Grillo aveva con forza e con la sua autorità (!) deciso che il ponte stava bene, e i pessimisti propagavano solo fake news. Non importa se la Benetton, rea di avere investito in Autostrade e sospettata di simpatie per il centrosinistra, aveva finanziato la Lega e non il PD.

Cosa importa ai cittadini? I cittadini vogliono giustizia rapida e colpevoli subito. E questo viene loro offerto, in barba al diritto che impone indagini e un giudizio della magistratura. Ai cittadini, affascinati da qualsiasi teoria complottista, si offrono favole adeguate a coltivare sentimenti negativi e spregevoli: farne un elenco lo ritengo inutile, rimando alla lettura di post e tweet.

Così ai funerali delle vittime del tragico crollo di Genova, quelle che hanno accettato funerali di Stato, più che lacrime e singhiozzi si sono uditi applausi e ovazioni verso i rappresentanti del nuovo governo, esaltati dalle dichiarazioni del Presidente del Consiglio della XVIII legislatura della Repubblica Italiana, Giuseppe Conte che annunciava l’avvio della procedura di revoca immediata della concessione autostradale (l’uso massiccio dei social è l’attuale forma di comunicazione pubblica del governo). E all’uscita dal funerale, più che lacrime, selfie di gruppo. Immagini, queste, di un popolo ridotto allo stato tribale, senza una cultura democratica, senza consapevolezza e senza coscienza civile.

Eppure c’è ancora chi si sforza di vedere e interpretare la realtà contemporanea. Molti studiosi di varia nazionalità e specializzazione hanno scritto analisi lucide, lavori che rimangono confinati in un limbo, un universo a sé stante, inaccessibile alla società reale. Basti pensare alle tante riflessioni su parole come populismo, populismi, che hanno il pregio di operare una distinzione che discende da esperienze del passato. Se parliamo di neo-populismi facciamo riferimento alla “novità”: le tecnologie digitali che offrono strategie e strumenti comunicativi che facilitano la diffusione di una vera e propria narrazione demagogica[4].

Tanti saggi, tanti articoli, ma tra i due mondi – quello di chi la società analizza e quello di chi nella società vive – sembra essersi aperto un baratro incolmabile. Gli spazi nei media sono limitati e di scarsa audience. Né sembrano avere un effetto gli appelli e le iniziative di persone di buona volontà. Per esempio l’appello lanciato nel mese di luglio 2018 da Massimo Cacciari e altre nove personalità della cultura italiana ha ricevuto apparentemente molto seguito. Il giornale la Repubblica ha pubblicato quotidianamente le impressioni dei lettori, ma – come nota tristemente uno di questi (Marco Data, Repubblica 15 agosto 2018) – gli italiani d’accordo con Cacciari potrebbero essere solo il 10%. Ipotesi forse pessimistica ma non infondata se è vero che: “…per l’italiano medio, mediamente colto e mediamente istruito, è importante tenere lontano gli immigrati; parole come solidarietà, civismo e politica significano poco…”.

Anche a livello internazionale si sente l’esigenza di intervenire in modo appropriato per una comunicazione libera e veritiera. Nello spirito della Dichiarazione universale dei diritti umani, adottata a Parigi settanta anni fa, noi, vincitori del premio Nobel e del premio Sakharov, specialisti delle nuove tecnologie, ex dirigenti di organizzazioni internazionali, giuristi e giornalisti, chiediamo agli Stati democratici di avviare un processo politico affinché un Patto sull’informazione e la democrazia sia sottoscritto entro la fine del prossimo anno. La nostra Commissione internazionale, composta da 25 personalità di 18 paesi e creata su iniziativa di Reporters sans frontières (RSF), ha redatto una Dichiarazione che servirà a stabilire, in questo momento storico cruciale, delle garanzie democratiche per l’informazione e la libertà di opinione.”

Una proposta comunicata ai leader presenti al summit sulla pace di Parigi (11 novembre 2018).

La consapevolezza del potere manipolatorio della disinformazione online e del controllo politico sui giornalisti e sui media sarà fatta propria da chi dovrebbe porvi rimedio? Sarà l’Europa in grado di garantire il pluralismo e stabilire i meccanismi di promozione di un’informazione attendibile, trasparente?  

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E l’etica. Che fine ha fatto? Sarà possibile il suo ritorno?

Naturalmente uso questo termine nella sua accezione sociale, cioè come consapevolezza dei limiti ai propri desideri per guardare al benessere di tutti.

La risposta è sì, ma le condizioni per il suo ritorno non sembrano vicine. Perché sarà possibile un ritorno se si manifesterà una, necessaria e auspicabile, presa di coscienza collettiva il cui fondamento sia la solidarietà umana. Senza una rinnovata solidarietà il ritorno all’etica è quasi impossibile.

Poteva, doveva essere dell’Europa questo compito, perché nata su due fondamentali pilastri: diritti dell’uomo e etica della responsabilità.  Invece il percorso di integrazione, basato sul liberismo di mercato, ha trascinato l’Europa in una crisi di legittimazione. La solidarietà è minacciata dalle involuzioni autoritarie dei cosiddetti paesi di Visegrad, passati da euroentusiasti a euroscettici. Primo fra tutti Viktor Orban, primo ministro dell’Ungheria dal 2010, che ha rifiutato il ricollocamenti dei migranti, e ha fatto erigere un muro sul confine serbo per respingere tutti gli arrivi indesiderati provenienti dalla “rotta balcanica”. Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia fanno quadrato. Bruxelles guarda con diffidenza, Roma con simpatia.

“La crisi economica – ha osservato Nadia Urbinati[5] – rallenta lo spirito unitario e gonfia i protagonismi nazionalistici, armando movimenti neo-fascisti e propaganda populista. La regressione nazionalista che l’argomento della crisi sembra giustificare (purtroppo non solo a destra) è un segno esplicito di questa discordia tra diritti umani universali e diritti politici di cittadinanza. Di questo scenario inquietante la società della finanza e delle multinazionali porta un’enorme responsabilità.”

Nel frattempo il processo inarrestabile della globalizzazione mescola le carte. Altre potenze si attestano nel panorama mondiale. Le prospettive economiche di lungo termine per il vecchio continente prefigurano uno scenario in cui i Paesi dell’Unione Europea conteranno sempre meno: dal 18 per cento del PIL globale nel 2018 a soltanto il 10 per cento al 2030. E ben l’80% del commercio è interno.  È dunque più urgente che mai invertire la rotta. La politica deve affrontare una sfida decisiva ed esprimere un’azione decisa e coordinata per contrastare le conseguenze della crisi. La prosecuzione dell’Unificazione europea sotto auspici neoliberisti incontrerà sempre meno accettazione da parte della società, metterà a repentaglio l’intero progetto europeo, e sarà sfruttata dai “sovranisti”.

Il Parlamento europeo dovrà rafforzare i suoi poteri decisionali. Può approvare decisioni giuste, e di recente lo ha dimostrato. Ma che valore hanno se poi devono sottostare al vaglio del Consiglio dei governi? Nell’Europa allargata a 28 Stati, come possiamo pensare che passino, ad esempio, le giuste sanzioni contro Orban? O la modifica del patto di Dublino? Come pensare di trovare un consenso unanime in una Europa oggi formata da due blocchi politici contrapposti?

Per ora manca una visione chiara capace di ribaltare un sistema ingiusto e che ha provocato disuguaglianze, sfruttate a fini di propaganda dalle destre sovraniste.

E in pochi scommettono su un risveglio rapido dall’omologazione piatta in cui viviamo per avviare un progetto (auspicabile!) di trasformazione radicale, sulla base di una visione etica della responsabilità individuale.

SIMONETTA BISI

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[1] M. Weinstein, “The dark Night of the Liberal Spirit and the Dawn of the Sauvage” in Canadian Journal of Political and Social Theory (CJPST), Volume 15, Numero 1 – 3, 1991.
[2] F.L. Neumann, Behemoth: Struttura e pratica del nazional socialismo, Bruno Mondadori, 2007.
[3] Franz Leopold Neumann, ebreo tedesco, fu arrestato nell’aprile del 1933, ma riuscì a fuggire e, dopo un passaggio in Inghilterra, raggiunse gli Stati Uniti e a New York alla Columbia University, si unì al gruppo della Scuola di Francoforte, anch’essi immigrati dalla Germania. A lui fu affidato dai servizi segreti statunitensi uno studio sul funzionamento e sulle pratiche del nazionalsocialismo.
[4] Cfr. N.Porro, Populismo e populismi, spazioliberoblog,2018
[5] N. Urbinati, “L’Europa svilita da populismi e nazionalismi”, Repubblica, 8 maggio 2014.