POPULISMO E POPULISTI (XVII)

di NICOLA R. PORRO 

Fascismo in provetta: il test della crudeltà

Un tratto proprio dei populismi di qualunque colore e latitudine consiste nella combinazione perversa di riduzione della politica a demoscopia (“lo vogliono i cittadini”) e di programmata manipolazione dell’opinione pubblica. Allo scopo è fondamentale costruire un nemico e inventare una  minaccia. Il timore è che ancora una volta “il sonno della ragione generi mostri”, come aveva ammonito il grande pittore spagnolo Francisco Goya a cavallo fra XVIII e XIX secolo. Mostri, che come attesta la storia dei fascismi europei, nessun apprendista stregone saprebbe domare.

I nuovi populismi potrebbero essere stati prodotti dal sonno della nostra ragione? Potrebbero ripetersi le tragiche circostanze che condussero, fra le due grandi guerre del Novecento, ai totalitarismi europei? La democrazia è ancora in grado di difendersi e difenderci?

Personalmente rifuggo da rappresentazioni apocalittiche della Storia e diffido di comparazioni forzate. Sono anche convinto che gli anticorpi democratici, per quanto indeboliti, siano ancora in circolo nel nostro sistema sociale. E conservo fiducia nelle figure e nelle istituzioni di garanzia previste dalla Costituzione per difendere la democrazia non solo da pericolose derive politiche ma anche da sfide suggerite dalla sete di potere e/o dalla pura e semplice incompetenza dei nuovi governanti.

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Mi ha però turbato il contenuto di un articolo, comparso poche settimane fa su un giornale irlandese a firma del giornalista e scrittore Fintan O’Toole, che sviluppa un’analisi originale dei nuovi populismi, soffermandosi sul ruolo esercitato dalle figure di Trump e di Salvini.

L’articolo, pubblicato su The Irish Timesdel 26 giugno 2018, è intitolato “Trial runs for fascism are in full flow” (https://www.irishtimes.com/opinion/fintan-o-toole-trial-runs-for-fascism-are-in-full-flow-1.3543375?mode=amp).

L’incipit è ispirato alla retata dei bambini centro-americani separati dai genitori e rinchiusi in gabbia alla frontiera messicana per disposizione del governo Usa. Molti commentatori hanno parlato di una sortita non solo squallida, ma controproducente per la propaganda di Trump che l’aveva ispirata. O’Toole è di diverso avviso. Si tratterebbe, sostiene, di un’operazione preparata con cura e funzionale a una precisa strategia. Il sonno della ragione starebbe già partorendo i suoi mostri. Che hanno un nome antico: fascismo. Il fascismo in salsa populista starebbe prendendo forma nella provetta dell’apprendista stregone americano. Ma un esperimento ispirato alla stessa logica sarebbe legato alle politiche di Salvini in quell’Italia che Steve Bannon, il guru del sovranismo mondiale, ha eletto a potenziale avanguardia della incipiente rivoluzione populista. La tesi di O’Toole poggia sulla convinzione che sia in incubazione un nuovo sistema del controllo a scala internazionale. Insofferente dei vincoli della democrazia parlamentare rappresentativa ma capace di elaborare una strategia di avvicinamenti progressivi all’obiettivo, il processo in corso necessita di sottoporre a test appropriati la capacità di resistenza dell’opinione pubblica. L’obiettivo dei nuovi leader populisti non sarebbe infatti l’escalation verso una specie di “post-fascismo”, formula buona a tutti gli usi e spesso impiegata a sproposito in precedenti occasioni. Quello che l’opinionista irlandese intravede è piuttosto il ritorno al proto-fascismo: un’invenzione di un secolo fa, interamente made in Italy.

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“È facile – scrive O’Toole – liquidare Donald Trump come un ignorante, non da ultimo perché lo è. Ma di una cosa ha una comprensione acuta: i test di marketing”.

Il suo solo apprendistato culturale è maturato sui tabloid scandalistici di New York, specializzati nel dare in pasto all’opinione pubblica le più diffamatorie e pruriginose dicerie sulle celebrità del momento. Campagne lanciate ad arte, destinate a rientrare precipitosamente se si annunciano guai giudiziari o a proseguire sempre più aggressivamente se le vendite salgono e la reazione delle vittime è inadeguata. Come nella realtà virtuale televisiva, con la quale il tele-tycoon vanta una ventennale familiarità, le trame possono essere variate o adattate sulla base del gradimento degli spettatori. La sequenza comunicativa, come nel caso dei leader populisti italiani, è però sempre la stessa: sparala grossa, poi nega di averlo detto, quindi modifica qualcosa e infine rilancia.

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Il fascismo è però ancora una merce di non semplice commerciabilità. La memoria dei suoi tragici precedenti non si è spenta del tutto. I suoi avversari possono ancora mobilitarsi e trovare ascolto. Nelle democrazie una buona parte di cittadini (ma esistono eccezioni significative) non è disposta a rinunciare a cuor leggero alle proprie idee di libertà e di civiltà. Per scatenare le energie compresse del fascio-populismo servono perciò pazienza e competenza comunicativa, malgrado l’allergia per le competenze caratterizzi la narrazione populista. Il primo passo consiste nell’assuefare l’opinione pubblica all’impatto con idee sino al giorno prima considerate “repellenti”. I vecchi totalitarismi, ad esempio, andranno “contestualizzati” nel tempo e nello spazio, presentati come episodi (!) irripetibili e depurati di qualunque implicazione ideologica (ancora una volta: “non siamo di destra né di sinistra”…). La criminalizzazione o, peggio, il dileggio delle ideologie servono infatti ad accreditare il pensiero reazionario in versione neo-populista come qualcosa di totalmente inedito, che sarebbe ingiusto stigmatizzare a priori e con il quale, da bravi democratici, è anzi opportuno confrontarsi senza pregiudizi. A quel punto, sdoganato sotto mentite spoglie il messaggio reazionario, si opererà come nelle strategie di marketing. Target e slogan andranno calibrati e perfezionati in corso d’opera. È quello che secondo O’Toole è sta accadendo negli Usa di Trump e di cui si avvertono segnali inquietanti nell’Italia di Salvini, di Grillo e Casaleggio. Tutti disposti a sbarazzarsi allegramente della democrazia parlamentare rappresentativa, da sostituire con regimi modello Putin o Erdogan. Lavori in corso.

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Le tecniche adottate, negli Usa come in Italia, non sono originali e si distinguono dai modelli proto-fascisti solo per le diverse modalità di uso e d’impatto sociale delle tecnologie della comunicazione. Non è un caso, sostiene O’Toole, che per la prima volta dopo decenni si sia riaffacciata l’ombra dei brogli elettorali e di una scientifica manipolazione del consenso in Paesi di antiche tradizioni democratiche. Non c’è dubbio che Trump, cui sono andati quasi tre milioni di voti in meno rispetto alla rivale nella corsa alla presidenza – negli Usa non è eletto presidente chi raccoglie più voti ma chi conquista più “grandi elettori” nei singoli Stati federali -, abbia vinto grazie a una sofisticata strategia di controllo del voto nei collegi decisivi. Nulla di illecito, ma un esempio palese di applicazione scientifica dei principi tattici e strategici delle scuole di marketing dopo che la campagna elettorale era stata dominata da un diluvio di fake news capaci di orientare l’agenda politica a misura della propaganda di Trump. Analogamente, il referendum sulla Brexit è stato certamente inquinato in Gran Bretagna da una campagna fondata su una sequenza di falsi preordinati. Quello che avrebbe più influenzato l’esito del voto riguardava i presunti finanziamenti che sarebbero stati sottratti alla malridotta sanità pubblica britannica per devolverli al bilancio comunitario. Una menzogna in piena regola, che a cose fatte sarebbe stata riconosciuta senza pudore dallo stesso leader pro Brexit, Nigel Farage. Sospetti su interferenze di servizi e agenzie straniere sono circolati insistentemente anche a proposito dei tentativi (falliti) di interferire nelle elezioni presidenziali francesi. Anche in Italia un crescendo di denunce scandalistiche contro esponenti del centro-sinistra – veicolate più dal web che dai media tradizionali e puntualmente sgonfiatesi un attimo dopo la chiusura delle urne -, ha scandito la campagna elettorale del marzo 2018, riproducendo in ogni dettaglio modalità d’attacco e strumentazione tecnica già adottate altrove dagli strateghi populisti.

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Per il giornalista irlandese, dopo l’elezione di Trump e il ritorno della Russia di Putin a velleità imperiali, sta prendendo forma quella che è stata battezzata l’Internazionale sovranista. Una contraddizione in termini che tuttavia acquista senso in funzione dell’obiettivo: depotenziare e possibilmente disintegrare il sistema UE. Il tentativo sistematico di alterare il gioco democratico in diversi Paese chiave, sviluppando una strategia pianificata e orientata allo scopo, sembra a O’Toole non una paranoia bensì una pura constatazione fattuale.

Il progetto non ha bisogno di un pensiero forte. I principali leader populisti contemporanei sono proporzionalmente meno istruiti e meno culturalmente attrezzati dei dittatori del Novecento. Dietro di loro opera però una falange di intellettuali fanatizzati, spesso pieni di rancore verso le Università e i centri di ricerca rei di non aver compreso il loro inestimabile talento. Dediti a metabolizzare in funzione dei nuovi scenari tutti i rimasugli della vecchia destra reazionaria, le stravaganti illuminazioni prodotte dai nuovi populismi e spesso fantasie esoteriche popolate di incubi antidemocratici, essi forniscono le munizioni pseudoculturali dell’offensiva populista.

Esemplare è il simulato siluramento dell’esuberante e troppo rumoroso Bannon da parte di The Donald. Coinvolto nello scandalo di Cambridge Analytica, il teorico dell’internazionale sovranista è repentinamente ricomparso sulla scena europea. Fingendo di agire in proprio, ma con un’illimitata disponibilità di risorse, ha un mandato da assolvere: preparare le cruciali Elezioni europee del 2019 allestendo, fra un delirio sovranista e l’altro, un cartello che comprenda tutte le forze nazionaliste, xenofobe e anti-europeiste. La speranza è di conquistare un numero di seggi sufficiente a rendere ingovernabile il Parlamento europeo paralizzando le istituzioni comunitarie. A esclusivo beneficio, ovviamente, della Russia di Putin e degli Usa di Trump, impegnati a realizzare un remake della Guerra fredda, senza dover fare i conti con la potenza commerciale dell’Europa unita e la sua “petulante filosofia dei diritti”.

Trump e Salvini, la LePen e i leader di Afd, Orban e Nethanyahu, Modi e Putin, gli antieuropeisti britannici e i leader delle democrazie illiberali condividono del resto una rappresentazione astiosa e caricaturale della globalizzazione che non mira a un ordine mondiale più democratico e giusto bensì alla regressione a quelle identità tribali che trovarono espressione nei fascismi storici. È quella filosofia delle “polarità socio-culturali incompatibili” che, ovunque si sia affermata, non ha prodotto altro che la legittimazione del razzismo e una declinazione reazionaria dell’identità. Altro che fine delle ideologie: nulla di più vecchio e consunto della nostalgia del popolo-nazione, dell’appartenenza basata sul sangue e sul suolo, delle ossessioni nazionalistiche e localistiche che hanno avvelenato la storia europea trovando una barriera di civiltà nella costruzione comunitaria. Da demolire, e in fretta, nel silenzio o con la tacita approvazione dei nostri populisti digitali.

Quasi mai, del resto, i regimi reazionari hanno conquistato il potere attraverso una maggioranza assoluta. Nella maggior parte dei casi il trampolino di lancio è rappresentato dalla conquista di una maggioranza relativa attorno al 40% dei consensi elettorali. Un obiettivo alla portata di molte forze populiste europee, che potrebbero così impedire la formazione di coalizioni alternative ma anche, se chiamate a governare, addebitare agli avversari le responsabilità dei loro insuccessi: ci boicottano, non ci lasciano governare e avanti con il ben noto repertorio di vittimismo aggressivo. L’obiettivo diviene allora quello di conquistare il potere da soli attraverso un plebiscito elettorale. Condizione questa per far poi impunemente ricorso al controllo poliziesco e all’intimidazione dei dissidenti: è già accaduto nella Turchia di Erdogan. Non importa essere odiati dalla maggioranza: basta che il tuo 40% ti sostenga in modo fanatico. Gli esempi sono numerosi e il caso italiano – con consensi al fronte populista stimati dai sondaggi a fine luglio 2018 attorno al 60% – giustifica ampiamente tanto l’euforia di Bannon quanto le preoccupazioni di O’Toole.

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Il fascismo in gestazione, aggiunge l’editorialista irlandese, “ha bisogno di una macchina di propaganda così efficace da creare, per i suoi seguaci, un universo di “fatti alternativi”, impenetrabili alle realtà indesiderate. Ancora una volta, i test per questa tecnica sono in fase avanzata”. Un ruolo essenziale è rivestito dall’esibizione della crudeltà. Non si tratta di episodi casuali oppure, come molti hanno commentato, di un autolesionistico incidente di percorso in una ben architettata strategia di comunicazione. Secondo O’Toole, permettendo che circolino le immagini dei bambini centro-americani separati dalle madri e rinchiusi in gabbie sotto il sole, Trump persegue un disegno intenzionale. Si tratta di indebolire i confini morali, di sperimentare quale sia la soglia di tolleranza etica degli spettatori. Nello staff del presidente operano spin doctor convinti – sulla base di ricerche condotte allo scopo – che agli individui (i telespettatori in questo caso) vada fatto “annusare il sangue” come si fa con i segugi da preda. Il gusto per la ferocia è contagioso, soprattutto se si riesce a rappresentare la vittima come portatore di una minaccia perché è out-group, appartenendo a un gruppo “diverso” e possibilmente disprezzato (i clandestini centro-americani, gli immigrati irregolari, i rom). Anche nella celebrazione salviniana della ruspa c’è del metodo.

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Ogni fascismo, ricorda il giornalista, si è consolidato al potere costruendo una minaccia che autorizzasse a “disumanizzare” le vittime. Il passaggio successivo è sempre rappresentato dal ricorso all’azione diretta. Non solo quella legalmente ordinata alle forze di Polizia, ma anche quella illegale promossa da sostenitori fidelizzati e fanatizzati. È il momento in cui le squadracce mussoliniane mettono mano impunite al manganello, all’olio di ricino, all’assassinio politico. È la notte dei cristalli in cui si scatena l’aggressione dei filonazisti a inermi negozianti colpevoli solo di appartenere alla comunità ebraica. Sono i pogrom etnici attuati dai regimi totalitari di ogni colore. Alzando man mano il livello della sfida, le difese collettive si abbassano, la violenza è sdoganata, il suo uso tollerato. Dalla rottura di vetri e vetrine si arriverà presto ai campi di sterminio.

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Questo metodo, scrive O’Toole con un preciso riferimento al caso italiano, viene testato oggi sul mercato politico:

…it is being done in Italy by the far-right leader and minister for the interior Matteo Salvini. How would it go down if we turn away boatloads of refugees? Let’s do a screening of the rough-cut of registering all the Roma and see what buttons the audience will press. And it has been trialled by Trump: let’s see how my fans feel about crying babies in cages. I wonder how it will go down with Rupert Murdoch…[…lo sta facendo in Italia il leader di estrema destra e ministro degli Interni Matteo Salvini. Come la prenderebbe la gente se respingessimo le barche dei rifugiati? Diciamo che vogliamo registrare tutti i Rom e vediamo quali pulsante preme il pubblico. Ed è stato testato da Trump: vediamo come reagiscono i miei fan ai bambini che piangono nelle gabbie. Vediamo come reagirà Rupert Murdoch…].

Nessun errore, dunque: personaggi come Trump e Salvini stanno semplicemente applicando le collaudate strategie della propaganda xenofoba. Occorre verificare qual è la soglia di orrore tollerata dagli spettatori di questo raccapricciante reality per alzare ancora l’asticella. Ai primi di luglio Trump ha affermato che gli immigrati “infestano” gli Stati Uniti. I populisti italiani seguono a ruota. La narrazione cinquestelle, ancora più di quella leghista, è infarcita di riferimenti ai “parassiti”. Il test ha funzionato. I telegiornali di Fox News non si sono trattenuti dal perseguire la disumanizzazione del “nemico” (bambini di pochi anni) addirittura insistendo impietosamente sull’immagine di un ragazzino Down. C’è chi ha parlato dei bambini in gabbia come piccoli attori subdolamente imbeccati da misteriosi registi, interessati a infestarci (o a “sostituirci”). In Italia la propaganda sovranista ha infierito per giorni contro una migrante, sopravvissuta in condizioni disperate a un naufragio, perché aveva le unghie laccate, grazie al gesto di alcune operatrici umanitarie che volevano distrarre per qualche minuto la sventurata dalla tragedia che stava vivendo.

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In attesa di aggiornare gli indici di gradimento di Salvini, le cose per Trump vanno a gonfie vele. Il 58% degli elettori repubblicani e il 42.5% del totale ha apprezzato la separazione dei bambini dai genitori e il loro ingabbiamento. Ottime notizie per gli strateghi proto-fascisti. Zittiti i lamentosi oppositori, si scaldano i muscoli della propaganda: “…milioni e milioni di europei e americani stanno imparando a pensare l’impensabile.”

Qualcuno si interroga sul destino dei naufraghi o sui traumi subiti dai bambini ripescati dalle acque in stato di asfissia o rinchiusi come macachi nelle gabbie di Trump?

I confini dell’etica vacillano, i vincitori si compiacciono di essere, come Macbeth, “yet but young in deed“ (“non siamo che principianti, nel crimine”). I test andranno avanti, i risultati analizzati, i metodi perfezionati, i messaggi affinati. E poi, se non faremo nulla, verranno le azioni.

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Scenario da incubo e responsabilità morali che riguardano tutti noi, al di là delle passioni e delle convinzioni personali. Un solo piccolo segnale di speranza. Nei due giorni che hanno fatto seguito alla pubblicazione dell’articolo di O’Toole, il post che lo segnalava ha ricevuto oltre 10.000 condivisioni. Teniamoci forte.

NICOLA R. PORRO