Lavorare meno, lavorare tutti!

di PIERO ALESSI 

Messaggio sintetico ed efficace.

La potrei finire qui ed evitare di mettere altro sale nella minestra.

Sarà che a me piacciono i cibi saporiti ma vorrei provarmi ad approfondire, tra mille contraddizioni e con un tasso di superficialità che non mi sfugge, un argomento che a torto viene giudicato superato e utopico.

Il presupposto dal quale parto è che, a mio giudizio, le forze di sinistra, progressiste e riformatrici che hanno senza dubbio letto e analizzato, sul piano globale, i cambiamenti epocali   sul piano della economia, del sociale, della cultura e della comunicazione non hanno saputo con la stessa forza lanciare il cuore oltre l’ostacolo ridefinendo, attraverso concrete proposte, una identità, per il nuovo millennio, che potesse ben rappresentare l’orizzonte ideale da offrire alle innumerevoli forme di diseguaglianza.

Non pretendo con un banale esercizio di semplificazione di offrire ricette che, ne sono consapevole, sul piano della loro fattibilità presentano certamente un alto grado di complessità. La questione che mi pongo è se non sia giunto il momento di tracciare un percorso e riprendere un dialogo che forse si è interrotto, con milioni di persone che, soprattutto nelle economie avanzate, soffrono per l’effetto di più elementi che si sono andati sommando. Tra questi cito la moderna globalizzazione, lo straordinario impetuoso ed inarrestabile sviluppo di nuove tecnologie soprattutto informatiche, la conseguente trasformazione del mercato del lavoro e, nel suo ambito, delle dinamiche organizzative.

Rivolgo un pensiero, in premessa, alle sofferenze che tanta umanità ha dovuto sopportare agli inizi della rivoluzione industriale, con orari di lavoro che arrivavano anche alle 14-16 ore per giorno, donne e minori compresi. Lavori pesanti, in ambienti malsani con salari che appena garantivano la mera sopravvivenza e del tutto privi di forme di garanzia. Dopo le prime rivolte contro la tecnologia del tempo che veniva vissuta come la responsabile di quella mesta condizione nella quale si era costretti a vivere si aprì una strada ad una diversa visione. La tecnologia divenne, in un’ottica più consapevole, solo un mezzo che, in quanto tale, poteva aiutare un processo di liberazione da uno status di lavoro inumano. Il punto divenne dunque quello di contrattare diverse e più favorevoli condizioni di lavoro e salario. La battaglia si organizzò attorno all’obiettivo di sottrarre quote di profitto da riversare a favore di coloro che, con la loro fatica, soprattutto manuale, ma anche intellettuale, quegli stessi profitti garantivano.

Per tornare ai giorni nostri, è di tutta evidenza che la produzione del pianeta è cresciuta ed è cresciuta la ricchezza disponibile. Questo non si è però tradotto in una giusta distribuzione di benessere. Oggi il tema delle profonde ed intollerabili diseguaglianze dovrebbe spingere le forze riformatrici a serrare le fila e aprire un conflitto sulla base di un antico ma sempre attuale obiettivo: la redistribuzione equa delle opportunità e delle risorse e il miglioramento delle condizioni di vita di tutti gli esseri umani.

Poiché il tasso di produttività, anche grazie alla innovazione, si è notevolmente innalzato ritengo sia il momento di abbandonare anacronistiche visioni indicando un nuovo cammino a coloro che vivono del proprio lavoro.

Se è dell’altro secolo la rivendicazione di quaranta ore di lavoro quale limite massimo dell’orario settimanale, forse si potrebbe guardare ai prossimi anni sventolando la bandiera di una sua drastica riduzione. Drastica non simbolica.

Ovvio che penso ad una riduzione a parità di condizioni salariali. Si è guardato come ad un punto di riferimento all’ultimo Contratto Nazionale dei metalmeccanici tedeschi. Ne apprezzo lo spirito ma esso è insufficiente a mio modo di vedere. In realtà si è, in quel contesto, determinata una maggiore flessibilità dell’orario di lavoro ma questo risultato si è ottenuto a quasi totale carico dei lavoratori.

Penso si debba andare molto oltre la pur apprezzabile esperienza germanica.

Ovvio che la eventuale riduzione dell’orario, si debba accompagnare ad una maggiore flessibilità. Un lavoro svolto in condizioni diverse da quelle della grande fabbrica, non più vessati da alienazione (da catena di montaggio fordista, per intenderci) o da fatica fisica insopportabile, potrebbe prevedere che si possa, se la situazione lo richiede, superare i limiti massimi previsti come in altri casi scendere al di sotto.

In sostanza riduzione e flessibilità.

Inoltre, adottare una concezione che guardi al lavoro come sforzo per il raggiungimento di uno scopo. Non è in sostanza la presenza sul posto di lavoro che diviene meccanicamente produttività Occorre guardare con coraggio ad un cambiamento di paradigma ed avere un diverso atteggiamento culturale. Solo a titolo di esempio riprendo un argomento che ho già trattato, più diffusamente, su questo stesso Blog; quello del cartellino e dei “furbetti”, nel pubblico impiego. Sul tema buona parte della sinistra e anche gli stessi sindacati, inseguendo quella parte di popolo che adora il profumo del sangue e la ghigliottina, perché diviene occasione per sentirsi migliore di un altro, hanno rinunciato a interrogarsi sulla necessità di una seria riforma della modalità con la quale si lavora. Si è guardato alla punta delle proprie scarpe lamentando che fossero impolverate invece di aprire lo sguardo all’orizzonte tentando quanto meno di proiettarsi nel futuro.

Persino banale aggiungere che una rivoluzione di questa portata non può avere una dimensione solo nazionale. Dunque serve più Europa. Occorre spingere sull’acceleratore verso gli Stati Uniti d’Europa. Un Europa dei popoli certo ma, dunque, altro che salti indietro sino a rimpiangere una geografia fatta di nazioni per lo più in guerra tra di loro.

Infine, per concludere un ragionamento, che spero non sia apparso troppo sconclusionato, non vi è davvero necessità di forze riformiste e progressiste che rinuncino alla propria missione, si frazionino sino alla forma monocellulare e si chiudano in un fortino sempre più minuto e sempre più assediato.

Si ha, al contrario, sete di coraggio, di innovazione, di lotte per l’uguaglianza, di amore per la pace e per l’ambiente. Da qualche parte s’ha da iniziare.   Ripartiamo dal restituire forza e dignità al lavoro.

Lavorare molto meno; lavorare meglio; lavorare tutti.

PIERO ALESSI