L’indifferenza non abita a sinistra.

di PIERO ALESSI ♦

Una profonda frattura sociale, si dica ciò che si vuole, passa, ancora oggi, e non potrebbe essere diversamente, tra chi detiene risorse e chi non ne possiede a sufficienza o affatto.

Se vogliamo parlare dei valori della sinistra partiamo da questa essenziale e banale questione: equità.

Ciò vale a livello mondiale così come nel nostro condominio.

Quando le differenze sociali, l’accumulo di risorse in poche mani diviene moralmente ed eticamente intollerabile,  in quel preciso tempo e luogo i valori della sinistra non si sono affermati.

Non si può assistere con indifferenza a centinaia di milioni di persone che, nel mondo, sono al disotto dei minimi essenziali di sopravvivenza. Esseri umani che non hanno acqua e non hanno cibo, sono vessati da guerre e da sanguinosi conflitti; siano essi etnici o religiosi poco importa. Uomini e donne che spesso non hanno una Nazione, una terra o una casa; che provano ad allontanarsi da condizioni di estrema miseria ma, troppo spesso, vengono respinti e non trovano quella  ospitalità e accoglienza che sarebbe, in un contesto umano, un preciso dovere.

Così, non si possono sopportare, senza provare indignazione, le profonde diseguaglianze che attraversano le società più opulente.  Nel nostro Paese, come nella nostra città, sono molti, troppi, i poveri e sono molte, troppe, le famiglie costrette a ricorrere agli aiuti di associazioni benefiche per “sopportare” la vita.

La cosa che riempie di sdegno e disgusto è non solo la indifferenza, come dicevo, ma l’insaziabile appetito di chi già dispone di sovrabbondanze ma vuole sempre di più. Salvo imbastire retorici discorsi sulla miseria e in alcuni casi fare della beneficienza per la quale si pretendono ringraziamenti, nella migliore delle ipotesi; nella peggiore si impongono pesanti e sempiterne genuflessioni e umilianti azioni servili.

In Italia 10 “ben-nati”  dispongono di 75 miliardi di euro pari a quanto è nelle disponibilità di 500.000 famiglie. 2000 ricchi del nostro bel Paese detengono un patrimonio ( senza contare gli immobili) di circa 169 miliardi di euro , dunque pari a quello di ben oltre un milione di famiglie. Ci sono alti dirigenti di banche e assicurazioni che devono lavorare meno di una settimana per vedersi corrisposto l’equivalente di quanto guadagna un operaio in un anno.  Si tratta di diseguaglianze inaccettabili. Di base vi è una competizione esasperata, propria di una società a capitalismo avanzato, ma, diciamolo: anche alla diseguaglianza c’è un limite!.

Non si tratta solo di distorti e spietati meccanismi economici, che fanno della competizione la benzina del proprio motore. C’è di più e di diverso dal mero  meccanicismo. Un sistema crudele che poggia,  al fondo, su di un insano egoismo e un super-ego che non si fa scrupolo di schiacciare chi è più debole; che sia un immigrato o un emarginato di casa nostra non fa differenza. L’egoismo non è un sentimento razzista!  Ma non è abbastanza per spiegare.

Io mi interrogo sul modello di società e di vita che è nella testa di chi aspira a guadagnare milioni di euro. Quali sono i suoi desideri? E, mi chiedo,  se nella mente di costoro si affacciasse il dubbio che forse vi è come conseguenza della propria abbondanza la miserevole esistenza di altri? Si proverebbe quantomeno un poco di vergogna o si riterrebbe che quanto si possiede è l’esatto corrispondere della propria abilità, competenza e utilità sociale?

Non vorrei apparire un francescano. Non lo sono. I radicalismi non mi piacciono, né in un senso, né nell’altro.  Trovo, più semplicemente, che andrebbero stigmatizzati determinati comportamenti e affermato un approccio alla vita della comunità all’insegna della sobrietà. Ne parlava un dirigente del partito comunista italiano, che ho considerato una guida, negli anni della mia giovinezza. Ne parlava E. Berlinguer. Lui ne  definiva i contorni utilizzando  il concetto di “austerità” . Ciò significa valorizzare una politica di risparmio delle risorse comuni e una battaglia contro gli  sprechi ( acqua, cibo, energia ecc.).

Sarebbe anche di aiuto deplorare gli eccessi e non indicare ad esempio positivo e a modello la spregiudicatezza di chi, pur di arrivare a penosi e fatui obiettivi, non esiterebbe a travolgere chiunque.

Per concludere la “predica” della settimana serve una politica seria che incida nelle scelte economiche ma sappia anche aiutare una rivoluzione culturale nel segno della sobrietà, della solidarietà e di una pacifica convivenza.

Come tradurre questi concetti nella “politichetta” di casa nostra? 

In primo luogo mi sento di affermare che i principi fondamentali di un orientamento politico di sinistra, anche nella nostra piccola città di provincia, devono saper viaggiare su comportamenti individuali e programmi amministrativi che corrispondano, senza sbavature, a valori di onestà, trasparenza, sobrietà, solidarietà, inclusione e giustizia sociale.

Combattere l’indifferenza significa assumere l’impegno civico in prima persona. Significa assumere il preciso impegno che si è al servizio del bene comune ed esso è prevalente rispetto a interessi personali di qualunque natura. A questo non si può derogare. I cittadini hanno ciascuno la precisa responsabilità delle scelte che si compiono. Ciò che siamo, ciò che è la città, nel bene e nel male, è il frutto di queste scelte.

Imprecare contro una politica corrotta ed incapace, come se le responsabilità fossero sempre altro da noi, è puro infantilismo.

In termini più elementari siamo padroni del nostro destino. Lo siamo ogni volta che siamo chiamati a scegliere i nostri rappresentanti. Lamentazioni postume sono inutili piagnistei. La democrazia è esattamente questo. Attribuzione a ciascuno di noi di una precisa responsabilità.

Nella nostra città abbiamo sempre fatto buon uso di questo straordinario diritto che è stato conquistato a prezzo di enormi sacrifici? Risposta facile: no!

Quello che abbiamo di fronte è eloquente. Lo stato di degrado, il sottosviluppo economico, una città piegata che ha smarrito ogni senso di comunità sono elementi con i quali fare i conti ogni giorno.

Per quanto mi riguarda, da uomo di sinistra, ritengo sia giunto  il momento di bilanci. Una analisi che parta impietosamente dal concetto di indifferenza, non solo, come ho detto,  verso le condizioni degli ultimi, dei poveri e degli emarginati ma anche verso la propria città.

Continuando in questo stato di indifferenza  anche dei cittadini, verso il declino materiale e morale della cosa pubblica, come se fosse questione che non ci riguarda, è lecito aspettarsi il peggio.

Un risveglio delle speranze è possibile solo a condizione che si dica basta ad ogni forma di assuefazione e che venga allontanata con decisione, dal governo della cosa pubblica, ogni forma di deteriore e colpevole commistione tra politica e affari. Che venga chiamato a governare la città chi con amore e visione lunga saprà indossare gli abiti del “buon padre di famiglia”; sobrio, prudente, attento ai bisogni collettivi e disponibile al sacrificio individuale.

Sapremo essere sordi alle sirene e mettere nelle orecchie i tappi di cera, proprio come fece Ulisse?

Ritengo che ciò sarà possibile  solo se la consapevolezza e l’impegno delle forze migliori  saprà  bandire ogni forma di indifferenza.

PIERO ALESSI