IL PAESE DEI LAVORATORI
di LUCIANO DAMIANI ♦
La lettura dell’articolo di Nicola sul suo viaggio a Mosca mi ha fatto ricordare il mio, pochi anni prima di lui. Era il 2006. Arrivammo a Mosca in un pulmino, provenienti da Yaroslav. La strada non pareva proprio che portasse alla capitale di un paese così vasto. Attraversammo una vasta ed anonima periferia per giungere al villaggio olimpico. Il nostro albergo fu costruito per le olimpiadi, vi alloggiavano gli atleti. Un enorme palazzo con l’ingresso al centro, con un passaggio obbligato, tipo aeroporto, che ti faceva le lastre. Ricordo che al mio passaggio suonò, ma il grasso e disordinato poliziotto a tutto pensava meno a ciò che accadeva all’ingresso dell’hotel. Era decisamente obeso, la camicia sdrucita e mezza sbottonata mostrava una canotta sudata. Il tizio era scompostamente seduto a leggere una rivista, incurante di ciò che accadeva attorno. Non ci ha degnato di uno sguardo ed andammo alla reception.
Il nostro soggiorno comportava giornate divise in due, con la guida al mattino ed il pomeriggio libero. Cosa molto apprezzata da noi refrattari ai viaggi organizzati, a questi preferiamo di gran lunga il fascino di preparare e gestire il viaggio in tutta autonomia con il piacere dei relativi imprevisti, ma optammo per una via di mezzo, il cirillico lo trovavo piuttosto ostico.. 🙂
Avvicinandoci alla capitale, l’accompagnatore ci disse di lasciare i passaporti in albergo, poiché “sono molto ricercati dalla malavita”, altra raccomandazione, in caso di furto ecc, di non rivolgersi alla polizia in quanto d’accordo con i ladri per via degli stipendi assolutamente bassi ed insufficienti. Ne avemmo testimonianza visiva andando in giro per la città. Le macchine della polizia erano il peggio che potesse girare per le strade di Mosca, tranne qualche Trabant, la macchina di cartone, che ancora riusciva a camminare. Micidiali le fumate del suo motore. Notammo, parlando di macchine che il parco era composto di scassoni e di lussuose e scintillanti Mercedes, BMW ecc… Questa netta differenza ci fu confermata da un signore il quale ci disse che a Mosca ci sono una infinità di miliardari, tutti gli altri sono poveri cristi, prossimi alla povertà.
Gli alloggi nei palazzi del centro, occupati durante il regime da più famiglie, dopo la caduta del regime furono intestati agli occupanti, per quota procapite, ognuno divenne proprietario di un pezzo di casa. Gli uomini della nomenklatura, svendo la disponibilità di danari, comprarono gli appartamenti del centro dando in cambio ad ogni famiglia un appartamento nuovo nella periferia cittadina.. I ricchi ebbero l’occasione di divenire ancora più ricchi al contrario di chi ricco non era.
A Mosca non c’era gran che da vedere, venivamo da San Pietroburgo, città che merita il viaggio. La metropolitana è veramente qualcosa di notevole, direi che è proprio bella, è “statuaria”, non saprei come definirla diversamente. A volte le aspettative sono migliori della realtà che delude, ma in questo caso la realtà è stata migliore dell’aspettativa, insomma complessi statuari che celebrano il lavoro, e la difesa del paese, stupore e meraviglia. Tutto pulitissimo ed efficientissimo. Con nostra sorpresa ci è bastato un pomeriggio per imparare a decifrare la cartellonistica della metro di Mosca. Parecchi anni dopo trovai molto più complicato decifrare la metro della Grande Mela, per non parlare della macchinetta per i biglietti dei bus di Tubinga.
Anche Madre Russia ha la sua bella quota di immigrazione, una quantità di russi asiatici, mongoli, caucasici ecc.. si occupa dei lavori “sporchi” ed è facile accorgersene.
Una discreta fila è stata necessaria per entrare nella fortezza, ovvero nel Kremlino. All’interno strade e piazze popolate da numerose piccole chiese ortodosse dalle cupole a volte dorate.
La quantità di piccole chiese incontrate in Russia deriva dal fatto che ogni signore, al ritorno dalle campagne di guerra, aveva la necessità di mettere al sicuro il proprio bottino, e quale posto ritenuto più sicuro che sotto l’altare? E quindi ogni signore aveva la sua chiesetta sotto il cui altare custodire i tesori razziati in guerra. Il percorso al Kremlino era obbligatorio, non derogabile, le guardie vigilavano attentamente che non si uscisse fuori del camminamento. Da buon italiano fui sgridato in russo, per esser sceso dal marciapiede. Dei tre o quattro giorni a Mosca non ricordo gran che altro, della città mi colpi, a parte ciò che ho già detto, la vista dall’alto, un particolare. Al centro di Mosca una grande e fumante centrale elettrica dava energia a tutta la città e calore a tutte le case con il teleriscaldamento. A Mosca deve far freddo d’inverno. I Russi non mi son parsi di molte parole, specialmente quando provavo a chiedere qualcosa del regime. Bocche chiuse, solo una donna ci disse che del regime ricordava la gran fame, niente di più siamo riusciti a sapere, neppure dalle guide. Si mangiavano zuppe di verdure con qualche pezzo di carne, involtini vegetali e, ovunque, insalate russe di ogni tipo. Colpivano le ragazze in giro con le bottiglie di birra o vodka in mano….
Con la capitale non c’entra, ma vi racconto l’esperienza del treno che prendemmo per andare da San Pietroburgo a Yaroslav, fatto significativo.
Stazione di San Pietroburgo temperatura 36 gradi. Realizziamo qual’è il nostro treno e su quale binario. E’ li pronto. Vicino allo sportello della carrozza un armadio di genere femminile controlla i viaggiatori. Di sicuro superava i due metri di altezza e due di circonferenza, gonna nera camicia bianca aspetto inflessibile e duro, sguardo duro dall’alto verso il basso. Arriva il nostro turno e capiamo che dobbiamo darle i passaporti, li controlla e ce li restituisce, saliamo. Dobbiamo essere in prima classe, lo si capisce dai tappeti e dai tendaggi, tappeti pure nei bagni. Ad inizio corridoio una grande teiera fa bella mostra di se. Che ci fa una teiera in treno? Il Te. Raggiungiamo il nostro scompartimento tanti sono i tendaggi e le stoffe, tanti quanta la polvere che si alza da questi non appena vengono toccati. Dovremmo dormire li? Fra il disagio e l’ilarità giunge l’armadio di prima che, sorridendo, ci consegna una busta a testa, dentro tutto il necessario pulito per preparare la cuccetta per la notte. Un sospiro di sollievo, almeno dormiamo in lenzuola pulite. Dopo un po ritorna si siede e comincia a dirci qualcosa, ha con se un taccuino ed una penna, ma non riusciamo a capire cosa ci vuol scrivere, ma dopo tanto riesce a farsi capire, ci deve o ci vuole portare del te, difficilissimo è stato capire che dovevamo pagarlo. Il treno parte, l’aria condizionata funziona solo col treno in movimento, si spegne ad ogni fermata. Passiamo così la notte ad aprire e chiudere il finestrino. Io ed un professore di filosofia toscano, compagno di viaggio, partiamo in cerca del vagone ristorante… Lasciamo la prima classe ed entriamo nella classe dei lavoratori, non ci sono scompartimenti, ma cuccette ovunque, pure sotto il finestrino del corridoio. I russi non si fanno molti problemi e quando vanno a dormire si spogliano in gran parte, sarà il caldo che rende tutto meno sopportabile. Continuiamo a passare da vagone in vagone facendo la gimcana far corpi sudati e maleodoranti, fra piedi a penzoloni e pance esagerate.. qualcuno/a anche un po’ troppo spogliato, ma certo è l’effetto del caldo torrido. Desistiamo dal cercare il wagon restaurant e torniamo indietro. Il compagno di viaggio, dopo aver traversato 7 o 8 carri bestiame se ne esce con marcato calare toscano… “ e questa è la patria dei lavoratori…….”. Arrivati a destinazione, prendiamo i bagagli e scendiamo, l’armadio di genere femminile con uno scopettone ed un secchio di acqua saponata lava la carrozza. Mi sarebbe piaciuto farle una fotografia… ma ho preferito evitare il rischio di una reazione inconsulta… 🙂
LUCIANO DAMIANI
Bravo, grazie! I russi non potranno lamentare di essere stati trascurati. E adesso salpiamo per nuovi lidi…
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Grazie per il bravo.. 🙂
Quale sarà il prossimo viaggio?
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