Cose delle nostre parti. Tolfa – Madonna di Cibona

di STEFANO CERVARELLI 

Con l’arrivo della stagione estiva, visto anche il clima nostrano, si fa più forte il desiderio, la necessità, quasi, di respirare aria più salubre.

Come non approfittare allora della vicinanza dei Monti della Tolfa?

Passeggiate, escursioni tra boschi e faggete non possono che ritemprare il fisico (fatevelo dire da un frequentatore di quei posti) e non solo. Chi vuole, può cogliere l’occasione per conoscere e approfondire la storia di quei luoghi, ricca di tradizioni, leggende e avvenimenti che le cronache ci hanno tramandato come miracolosi ed ancor vivi nella fede e nella pietà cristiana.

Sono episodi la cui genesi si perde in lontanissimi tempi, ma che comunque hanno avuto riconoscimenti ufficiali sia attraverso testimonianze riportate dalle cronache di allora, sia attraverso certificazioni notarili dell’epoca, non tralasciando ovviamente il riconoscimento ufficiale della Chiesa.

Ed è proprio di questi avvenimenti, storie, leggende, tradizioni appartenenti alla cultura allumierasca e tolfetana che, in una serie di articoli, vorrei parlare, sperando di animare l’attenzione verso luoghi che magari sono stati visti soltanto, appunto, come luoghi dove andare a prendere un po’ d’aria fresca e mangiare un panino con il prosciutto.

Inizio parlando dal miracolo della Madonna di Cibona, la cui cappelletta si trova sulla strada che da La Bianca conduce a Tolfa, immersa tra gli alberi, nel silenzio e nella quiete di un piccolo bosco.

La storia risale ai lontanissimi tempi della scoperta nella zona delle miniere di allume, da parte di Giovanni di Castro nel 1463.

Successivamente, sempre alla ricerca di nuove vene, vennero iniziati scavi in quella che allora era la selva di Cibona, in seguito poi chiamata Le Sbroccate. In quella zona Agostino Chigi, che era nel frattempo divenuto l’appaltatore delle miniere, essendo uomo devotissimo, fece erigere per soddisfare le esigenze religiose dei circa 800 lavoratori impiegati nei lavori, una piccola edicola facendovi affrescare l’immagine della Beata Vergine Maria con in braccio in Bambino Gesù e con ai lati gli apostoli Giovanni e Giacomo.

Il nome dell’autore che effettuò l’affresco non si è mai saputo: l’unica cosa che si può dire che dallo studio effettuato sulla immagine doveva appartenere alla Scuola dei Ghirlandaj.

Fin da subito l’immagine prese il nome dalla zona in cui si trovava e con tale nome “Madonna di Cibona” è arrivata fino ai giorni nostri anche se in seguito avendo dato alla zona il nome di Monte Urbano in onore del pontefice Urbano VIII, l’effige venne chiamata per un periodo Madonna di Monte Urbano.

Ma anche in quella zona la vena di allume si esaurì e gli operai abbandonarono la cava per trasferirsi in altra parte.

Anche l’edicola, che fino a quel momento era stata curata ed onorata, venne abbandonata e ben presto, trovandosi nel fitto di un bosco, finì quasi per essere semisepolta dalla vegetazione e se resistette all’incuria del tempo e della natura fu grazie alla tradizione degli abitanti del vicino abitato di Tolfa che, in occasione delle solennità religiose più importanti, si recavano in pellegrinaggio davanti all’immagine della Beata Vergine provvedendo anche, per potersi aprire un varco, a liberarla periodicamente dei rovi e degli arbusti.

Passarono gli anni.

Un giorno in una data collocata dopo la morte di Agostino Chigi e quindi dopo il 1520 nei pressi dell’edicola avvenne un episodio che la tradizione e fede religiosa pone come inizio della capacità miracolosa dell’immagine sacra.

Alcuni uomini si recarono nelle vicinanze della nicchia per giocare a carte, usando come tavolo l’altare. Uno di questi, avendo perso al gioco buona parte di quanto possedeva, preso dalla rabbia raccolse un sasso e lo scagliò verso l’affresco colpendo l’immagine della Beata Vergine sopra il ciglio sinistro. Incredibilmente dalla fronte della Vergine uscì del sangue che una volta bagnato il volto scese sul petto e sul seno dell’Effige.

Essendo gli autori dell’episodio visibilmente impressionati datisi alla fuga, tale avvenimento si poté constatare solamente quando i pellegrini vi si recarono in occasione della prima festività di Maria. Dopo i primi giorni di sbigottimento e stupore per il prodigo evento, la prima preoccupazione del popolo tolfetano fu quella di evitare che l’immagine sacra restasse esposta con il pericolo di subire altre intemperanze. Decisero allora di ingrandire quella piccola edicola costruendo una piccola cappella dotata di porta.

Dopo questo episodio la cappella della Madonna di Cibona continuò ad essere meta di pellegrinaggi che con il passare delle generazioni andarono però affievolendosi fino ad arrivare al 1633: data storica. Le cronache raccontano che in Tolfa vi era una donna di nome Margherita invasa dal demonio. Il 15 maggio del 1633, giorno in cui cadeva la festa di Pentecoste, la donna decise in un momento di massima sofferenza e accompagnata da vicini e conoscenti, di recarsi alla cappelletta della Madonna Santissima di Cibona nella speranza di ottenere la liberazione dal tormento che la attanagliava. La sua fiducia venne ricompensata perché, raccontano le cronache, dopo l’ultimo violento attacco del demonio per non perdere il possesso del corpo, accogliendo le preghiere di coloro che l’avevano accompagnata, la Madonna la liberò definitivamente ridonandole pace. Dell’avvenimento tra i tanti fu testimone un certo Fulgenzio Ferrini, uomo stimatissimo in paese.

Tralasciando per il momento la genesi che ha avuto l’immagine sacra, con relativa cappella, sulla quale poi tornerò in quanto parte importante nella storia dei luoghi, voglio concludere questa prima parte accennando brevemente ad alcuni tra i più importanti miracoli di cui esiste testimonianza in certificazioni notarili e sulla collocazione attuale dell’affresco originale.

Un operaio di Civitavecchia Orazio Gabelli, che lavorava nella cava di travertini, mentre stava spaccando un masso usando una zeppa di ferro, ricevette per sbaglio dal compagno che doveva abbatterlo con una mazza di ferro di 25 libre, un colpo sulla mano sinistra. Il medico accorso disse che si rendeva necessaria l’amputazione di due dita, l’indice ed il medio che si erano quasi staccati dal resto della mano. Il giovane non accettò questa soluzione e devoto alla Vergine di Cibona volle essere portato presso la Sacra Cappella pregando il P. Zenobi, che ne era custode, di ungergli la mano con l’olio della lampada che ardeva innanzi la Sacra Immagine. Il Padre, vedendo lo strazio del giovane operaio, provvide subito ad accontentarlo. Al termine dell’unzione immediatamente cessò il colore e la mano tornò allo stato primitivo. Questo miracolo accadde il 6 giugno 1637.

Sempre in quel medesimo mese, il giorno 29, un cittadino tolfetano Filippo d’Antonio, affetto da una malattia cancrenosa al piede sinistro, fu consigliato dai medici di recarsi a Roma per l’amputazione. Sua madre sconvolta dal dolore, si recò alla Madonna di Cibona per raccomandare il suo figliolo, chiedendo a P. Zenobi di portare qualcosa all’infermo. Questi prese dei fiori dall’altare e disse alla donna di tornare in pace perché la Madre di Dio avrebbe ascoltato la sua preghiera. Plautilla, così si chiamava la madre del giovane, prese quei fiori e tornò pregando alla sua casa. Qui giunta pose quei fiori sul piede di Filippo che all’istante guarì.

Un uomo Domenico Armillei era detenuto nelle carceri di Corneto per via di una accusa capitale da lui ritenuta ingiusta. Dopo ventotto lunghi anni egli supplicò fervorosamente la Beata Vergine di Cibona  affinché si potesse manifestare la sua innocenza; fatto sta che dopo otto giorni si vide riconoscere la sua innocenza e dimesso dal carcere.

Il popolo di Tolfa si recò il 4 maggio 1639 in solenne processione alla Cappella della Madonna di Cibona per implorare la pioggia trattandosi di un anno di grande siccità: la campagna era arsa e le fontane pubbliche a secco. Dopo la messa, mentre il popolo si apprestava a rientrare, si videro arrivare numerose nubi che in breve ricoprirono il cielo; si levò un vengo fresco e poi cominciò a scendere la pioggia, che continuò per due giorni di seguito. L’eccezionalità consiste nel fatto che la pioggia cadde solo nel territorio di Tolfa; non piovve né a Civitavecchia, né a Corneto, né a Rota e nelle zone vicine. L’acqua caduta permise la crescita rigogliosa del grano per la più grande gioia del popolo.

Dopo aver parlato tanto di questo affresco, c’è da dire che l’originale è conservato presso la Chiesa dei Cappuccini a Tolfa, collocato sopra l’altare maggiore. Attualmente la chiesa è purtroppo chiusa al culto, sembrerebbe per via di un vecchio contenzioso che riguarda l’Ordine Francescano, la Curia ed il Comune di Tolfa.

STEFANO CERVARELLI