Cambiare idea oggi è ancora più difficile.

di MARCO DE LUCA ♦

Tutti sappiamo quanto sia difficile confrontarci con chi ha idee diverse dalle nostre. Quanto sia frustrante, per noi e per gli altri, avvertire la difficoltà di spostare l’altro dalle proprie posizioni, e avere la sensazione di non essere capiti. Se questo è un problema che esiste da sempre, è interessante osservare come evolva a contatto con i contesti mediatici e virtuali, grazie ai nuovi e ormai popolarissimi spazi di socializzazione.
La struttura “chiusa” di alcuni social network impedisce l’ingresso ai contenuti che non appartengono alla nostra cerchia di amici e interessi. Ciò non favorisce certo il sincretismo delle idee, tutt’altro: causa la nascita di bolle mediatiche impermeabili, in cui ruota solo un certo tipo di contenuti e in cui entra solo una certa categoria di persone, quelle che sono d’accordo con noi. Inoltre, questo meccanismo non riguarda solamente i social network. Molti siti, tra cui anche i motori di ricerca, sfruttano algoritmi che personalizzano i contenuti mostrati. È stato dimostrato che, cercando le stesse parole su Google, due utenti possono ottenere risultati (leggermente) diversi, soprattutto se le keywords sono molto generiche.
L’elezione di Trump ne è la conferma: le bolle mediatiche concedevano agli elettori democratici sicurezza e tranquillità, tanto da permettere loro di ironizzare sulla candidatura del miliardario repubblicano, come testimonia la lunga serie di sketch comici sulle elezioni. Eppure, ormai è evidente, quelle bolle erano solo un conforto che trascendeva la verità, che tappava gli occhi sul reale stato delle cose.

 

Ma la creazione di queste “bolle” non deve essere imputata soltanto al meccanismo dei social. Essi hanno tutto l’interesse a compiacere gli utenti: per questo sfruttano meccanismi che “selezionano” cosa mostrare, basandosi sulle scelte dell’utente. Facebook, ad esempio, tende a presentare con più frequenza post di persone che abbiamo già dimostrato di apprezzare con “mi piace” e commenti. Ma Facebook è solo uno dei social network, ed è tra l’altro uno di quelli cosiddetti “a struttura chiusa” (cioè basati sul contesto limitato degli amici e delle pagine seguite), a differenza, per esempio, di Twitter. È facile però notare che spesso, anche su Facebook, capita di imbattersi in contenuti lontani dalle nostre opinioni. Perciò, se queste bolle nascono è anche e perlopiù colpa dell’uomo. Non sempre si cerca la molteplicità dei punti di vista: anzi, preferiamo interagire con chi è già d’accordo con noi, fino a far sparire dalla nostra bacheca qualsiasi voce contraria. Così, è evidente, socializzare serve a poco: affrontare un mondo in cui tutti sono dalla nostra parte può essere piacevole, ma non è utile a progredire. È il caso di tutte quelle persone che esprimono le proprie appartenenza politiche su Facebook, dove probabilmente troveranno sostegno e approvazione dalla propria cerchia di amici, ma molto raramente apriranno dibattiti costruttivi con chi la pensa diversamente: ritornando alle recenti elezioni americane, si può citare la pratica diffusa fra gli elettori di “rimuovere dagli amici” chi manifestava preferenza per il partito opposto. Potrebbe capitare a tutti di esseri “eliminati” perché si hanno idee “troppo diverse” oppure perché, secondo qualcuno, si è abusato della possibilità di condividere le proprie opinioni. Non solo non vogliamo confrontarci con le idee altrui: non vogliamo nemmeno conoscerle.
Ma è possibile che le persone non si rendano conto di costruirsi attorno queste bolle virtuali? Possibile che non avvertano la concordanza di opinioni che le circonda come illusoria, sbagliata?
Negli anni 40 e 50 negli Stati Uniti si è sviluppato un programma di ricerca sulla comunicazione che ha descritto la cosiddetta “teoria della persuasione” o della “ricezione selettiva”, a noi molto utile per rispondere alle suddette domande. Secondo questi studi la “selettività” che l’uomo applica alle informazioni in arrivo si realizza su più livelli: inizialmente, le persone tendono più o meno consapevolmente a selezionare le fonti più conformi ai propri interessi ed alle proprie opinioni. I messaggi provenienti da altre fonti, se in contrasto con le nostre idee, vengono rifiutati, ignorati o svalutati dalla nostra mente. La percezione dei contenuti viene distorta, l’interpretazione falsata: in sostanza, il cervello tende ad isolarsi, ad arroccarsi sulle proprie posizioni. Per questi motivi è così difficile parlare con chi non è d’accordo con noi, e ancora di più cambiare idea. Se tutto ciò può sembrare ovvio, bisogna sottolineare che questa ricerca mina uno dei fondamenti stessi della comunicazione, la quale dovrebbe contribuire al cambiamento, al progresso degli interlocutori. A questo punto è facile intuire come questa teoria trovi conferma (e, probabilmente, enfasi) nei contesti virtuali.
Superare lo scoglio che ci pone questo meccanismo mentale sta a noi: dando spazio solo a informazioni che hanno già ricevuto la nostra implicita approvazione rendiamo impossibile qualsiasi progresso e cadiamo nella trappola lusinghiera, nella gabbia d’oro, delle bolle mediatiche. Si può concludere che è necessario uno sforzo di intelligenza per impedire ai social, e in generale ai nostri inconsci meccanismi mentali, di compiacerci fino a privarci della preziosa possibilità di cambiare idea.

MARCO DE LUCA