RENZI FIGLIO ILLEGITTIMO DI VENDOLA
di MICHELE PASCALE ♦
I conti non tornano. I progressisti nostrani si rivolgono alle élite sociali ed economiche, disdegnando il volgo, staccandosi sempre più dal paese reale. Adoperano parole d’ordine vecchie: Europa, quando il sogno dell’unione si infrange sulla realtà della finanza e della burocrazia.
Libertà e diritti: quando la giustizia sociale e la redistribuzione della ricchezza, che rendono possibile l’esercizio della libertà e la sua tutela, vengono negate dalla povertà, dalla precarietà, dai legami, alle volte imbarazzanti, con i poteri economici e finanziari e con gli altri centri di potere. Sinistra: cos’è, dov’è, cosa fa? Divisa tra una nostalgia vetero testamentaria e un rampantismo neo veltroniano dall’accento toscano. Su tutto la morte della politica, ridotta a narrazione. Le parole, che dovrebbero essere importanti e pesare come pietre, scivolano via nel vento. Sono utili tatticamente per produrre copioni cinematografici, per mimare modificazioni del reale senza attuarle.
Vendola in questo era bravo. Renzi lo supera con grande maestria, evocando apocalissi, dimissioni e l’utilizzo dei lanciafiamme per poi fischiettare allegramente facendo finta di nulla. Ed ecco che, ad esempio, gli ottanta euro diventano la soluzione alla crisi economica. Esattamente come con Vendola, la narrazione diventa sempre più efficace quando viene ripetuta dai fedeli della piccola chiesa di riferimento: da Sel prima, dal Pd poi.
Renzi è il figlio illegittimo di Nichi Vendola. Ma parlare delle cose, citare i problemi, vuol dire superarli? No, di certo. E’ una metodologia efficace in una prospettiva psico analitica, in cui, chi è parte del ceto politico, cerca consolazione di fronte ad un mondo che non comprende.
Fu così con Vendola inteso come messia della sinistra, addirittura additato come “papa straniero” del PD. E’ così, oggi, con Matteo Renzi leader maximo di un popolo che non lo ha mai eletto. Una ricerca di consolazione che porta alcuni a scavarsi una tana in un consiglio comunale o regionale, così, per sopravvivere, attingendo ad un consenso sempre più marginale e non facendo nulla per allargarlo o farlo crescere. Tempi per uomini piccoli, dalle piccole idee e dalle minuscole aspettative. E su questo, sul trionfo delle narrazioni a scapito della politica, si sta consumando, in Italia, la sconfitta del fronte progressista. Che rischia di travolgerci tutti.
E giungo ad una conclusione. Solo l’eresia ci salverà.
MICHELE PASCALE
E meno male che ci sei tu ad avere idee grandi. Se poi si capissero pure…
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E’ triste ammetterlo, ma credo che questo discorso non faccia una piega, mentre leggo penso al genio del Min. Madia o chi per lei che pensa di risolvere il problema dell’assenteismo affidando il controllo agli algoritmi dell’INPS ed ai suoi medici che invece di fare i medici dovranno andare a fare i poliziotti casa per casa in cerca di assenteisti seriali. Come gli 80 euro questa è un’altra narrazione che da il segno dell’assenza di azione politica.
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In politica – alla fine – contano due cose : le idee ed il consenso. Da parte dei molti che , sui giornali ed in tv, passano gran parte del tempo a contestare ed insultare Renzi e il PD, non mi pare si manifestino grandi idee, od almeno non le vedo io, ma , soprattutto, non hanno consenso. Il PD è il primo partito del Paese, rappresenta un terzo degli elettori ed è la più importante forza politica di sinistra d’Europa. Tutte le altre forze della cosiddetta sinistra, insieme, raggiungono , al massimo il 5%. Anche gli oppositori interni al PD , anche in base ai sondaggi recenti, non battono Renzi. Emiliano ha un terzo dei consensi di Matteo. Speranza un quarto. Non vi piace la politica del PD ? Scalatelo. Renzi l’ha fatto, mi pare. Portate nuove idee e cercate su di esse il consenso. Nel frattempo però, nel Mondo, vince Trump e ( forse ) Le Pen. Tanti auguri.
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I partiti non sono società per azioni da scalare, ne dovrebbero essere “scalabili”, sebbene la realtà sia questa, non per questo vuol dire che ce ne si debba fare per forza una ragione. E magari ci fosse qualcuno capace di riportare la politica al suo alto significato strappandola a quello che oggi è, magari ci fosse. Avere più consenso di altri non vuol dire di per se essere migliore, ne vuol dire avere le idee migliori e non debbo certo spiegarlo. Allo stesso modo non è detto che avendo le “idee migliori” ciò porti di per se alla guida di realtà politiche. La politica non si dovrebbe ridurre ad una gara a chi fa più punti, e chi è “intelligente” non dovrebbe, nel suo pensare e nel suo agire, adattarsici come qualcosa di ineludibile. In estrema sintesi lo scopo dei partiti, e quindi dell’azione dei suoi uomini, non dovrebbe essere quello di “vincere le elezioni”, dirlo è inutile, fuori dal mondo e dal tempo? Io dico di no, certo che siamo in pochi a dirlo.
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Tutto bellissimo. A patto però che tu possa spiegare chi dovrebbe stabilire chi è migliore. i partiti sono organizzazioni fatte da uomini. Tra di essi ci può essere accordo su tutto o solo parziale. Quindi servono strumenti per decidere quando non c’è accordo su tutto. Io credo che per farlo non ci sia nulla di meglio delle regole democratiche che fanno si che chi ha maggior consenso ” vinca ” e possa ” scalare ” la direzione del partito. Si chiama democrazia, semplicemente.
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Il problema sta proprio nel concetto di “vittoria” o se vuoi “scalata”. Sono due concetti che non vanno d’accordo con l’idea di democrazia. Sono concetti che rappresentano una “distorsione” della politica. In altre parole, secondo me, la democrazia non si esprime nella produzione di un “vincitore”, ma nella produzione di una “azione politica”, sono due concetti piuttosto diversi. Questa distorsione, ovvero la necessità di esprimere un vincitore, porta ad azioni che poco hanno a che fare con la democrazia, come il “portafoglio di iscritti”, l’uso di “populismi”, o di provvedimenti “fumosi” che non incidono cioè, realmente, sullo stato delle cose, ma che danno l’impressione che lo facciano. Mettiamoci dentro anche le forme di propaganda spiccia, sino alle forme aberranti più attinenti al mercato che alla pratica democratica ed abbiamo tutto un ventaglio di attività che non mirano realmente alla costruzione di un positivo, ma alla mera acquisizione del consenso. Mi rendo conto che questi miei pensieri sfociano nell’utopistico, ma credo abbiano un loro senso forse non tanto utopico, ma che richiedono la capacità di cambiare modo di essere. Giusto per, faccio notare come le discussioni che da anni si occupano della legge elettorale, invece di puntare a cercare la “migliore legge possibile” puntano a soddisfare le esigenze del momento a seconda degli equilibri politici che di volta in volta cambiano, e di volta in volta ci si spende per l’una o per l’altra forma per ottenere il vantaggio maggiore possibile.
Insomma il problema non sono le regole democratiche ma l’uso speculativo che se ne fa, il cambiamento che occorre è quello. E solo i partiti possono avviare questo cambiamento, che forse non ci sarà mai. Certo è che se dovessi pensare che la politica è solo una questione che attiene al potere, dovrei prenderne atto ed occupare il mio tempo in altro, ma voglio pensare che non sia del tutto così e che la Costituzione non sia una mera raccolta di regole ma una idea, una passione.
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Faccio sommessamente notare che se una Le Pen ed un Trump, ma anche un Grillo, occupano con successo la scena politica lo dobbiamo proprio al fatto che le narrazioni, sia quella moderata di Renzi che quella moderata e dipinta di rosa di Vendola, non incantano più nessuno. Faccio anche notare che se una Le Pen, un Trump, ma anche un Grillo hanno consenso (e ce l’hanno) e se in politica, come diceva Roberto, contano “le vote”, qualcosa a sinistra non va. Ogni qual volta si critica Renzi arriva qualcuno con il bastone delle percentuali. Benissimo. Poi, però non vi lamentate se qualcuno vi percuoterà con un bastone più grande, come accaduto a Roma 🙂 chi di sole percentuali (e “vote”) ferisce, di percentuali (e “vote”) perisce. Questo per dire che in politica, almeno secondo me, non contano solo i voti, ma anche le capacità organizzative, comunicative, gli orizzonti ideologici e culturali. I voti devono essere una conseguenza di questi, altrimenti tutto si sgretola. Esempio concreto. A Roma, dopo il successone delle Europee, le fazioni del PD vennero alle mani in piazza Farnese. Chiaramente il successo non era dovuto al lavoro di partito o alla folgorazione per il socialismo europeo. Era un voto ottenuto con metodologie doroteee. Tant’è che si diede uno spettacolo penoso. Con conseguenze penose. Giachetti ha perso. Ora evitiamo il tifo da stadio. Renzi è uno dei tanti e non un dio. Pensiamo alla politica, che non può e non deve avere solo un accento toscano.
Mario Michele Pascale
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Vedo che il redattore dell’articolo,come fanno ormai tanti i Italia da tanto tempo,dice che Renzi non è stato eletto da nessuno e quindi ricorderei che nella Costituzione c’è scritto che il presidente lo elegge il parlamento e che gli elettori eleggono solo i parlamentari poi nel PD si sono inventati le primarie che fanno eleggere il segretario del partito da cani e porci.E così il partito,luogo dove si trovano insieme persone che hanno le stesse idee non esiste più e l’Italia diventa come l’America,dove il sistema delle primarie può portate anche a vincere Trump,eppoi voi vi lamentate se vince trump.riordinate le idee.
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