L’arte di esprimersi.

di FRANCESCA CONTI

Guardando i Campionati Europei di Pattinaggio Artistico nella Repubblica Ceca sono colpita da quest’improvvisa realizzazione: riuscire ad esprimere la nostra realtà interiore è un grande privilegio.

Questo spettacolo che sto guardando è uno sport, oppure un’arte? Che differenza c’è tra i due? Forse nessuna e forse non ha nessuna importanza perché il comune denominatore di tutti gli sport e di tutte le arti, è la voglia di esprimere se stessi, di trovare attraverso la musica, la pittura, la danza, il movimento, la velocità, i salti o le parate un momento di unione tra corpo, mente e spirito. La sincronia perfetta che eleva lo spirito facendolo espandere al di là dell’io e delle nostre stesse aspettative.

Molti scrittori non sanno indicare esattamente da dove vengano le loro storie, i loro personaggi, le loro intuizioni più profonde. Elizabeth Gilbert, autrice di “Mangia, Prega e Ama” in un talk su Ted.com[1] parla di un’energia divina, universale che troverebbe nella sensibilità degli artisti un modo per esprimersi. Il corpo e la mente al servizio dell’universo. Non per sempre certo, è più probabile che l’universo decida di prendere temporaneamente in prestito il corpo e la mente degli artisti per esprimersi. Personalmente, mi auguro proprio che sia così. L’idea dell’infinito che trova nella singola persona una possibilità di espressione è confortante. Anche se, come ci ricorda la Gilbert, il risveglio del mattino dopo una grande intuizione, o dopo una splendida performance, non è dei più semplici, quando ci si rende conto che si può anche essere degli strumenti di Dio, ma l’estasi della perfezione, dell’unione, non dura che pochi instanti.

Eppure, quello che trovo più difficile da comprendere non è tanto la durata passeggera dell’illuminazione creativa, ma come le diverse forme d’arte e di conoscenza arrivino ad esprimersi soltanto attraverso alcune persone e non altre. Perché l’archeologo fa proprio l’archeologo, e il medico proprio il medico? Come si trova la propria modalità di espressione? È il destino a scegliere per noi? O ci incontriamo a metà strada? In questi ultimi tempi sono più portata a pensare ad una mediazione: forse ogni essere umano nasce con delle skills, con dei talenti e delle potenzialità per esprimersi e per lasciare la sua impronta nel mondo. Non è neanche detto che il mondo esterno se ne accorga. Quanti artisti sono diventati icone solo post mortem? Oppure sono stati rifiutati e accolti malamente dalla critica? E questo senza tener conto delle differenze di genere. Nella storia dell’arte sono pochissime le donne che ce l’hanno fatta. A Roma in questi giorni c’è la mostra di Artemisia Gentileschi, una delle poche artiste donne del passato ad aver trovato spazio nella Grande Storia dell’Arte Italiana (dominata da uomini che spesso rappresentavano delle donne).

La rappresentazione di se stessi e l’espressione della propria creatività è un gioco pericoloso. Quante volte assistiamo a cadute, errori, e nervosismi da parte di atleti in gara? Ci sono sport basati sull’errore, dove vince chi riesce malgrado la tensione a sbagliare meno. Il pattinaggio artistico, la ginnastica artistica e ritmica, i tiri al bersaglio. Tutti sport di precisione, dove in pochissimi secondi e centimetri ci si gioca la fatica di anni. Anni di allenamenti per cogliere l’attimo. Sono pochissimi quelli che ce la fanno, la maggioranza ci prova, alcuni ci arrivano vicino, tanto vicino da assaporarne quasi il sapore, ma sbagliano qualcosa che non gli permette di arrivare fino al gradino più alto del podio e alla fine sono veramente pochi i campioni che finiscono la carriera senza rimpianti.

Per tutti gli altri, si apprezza comunque e a prescindere dal risultato, il cammino, lo sforzo. In fondo, è l’idea decoubertiniana delle olimpiadi moderne, partecipare, esserci è quello che conta.

E non capita solo nello sport. Andando in giro per mostre non è affatto raro trovarsi di fronte ad opere di cui non si capisce il senso, di cui francamente, da spettatrice, penso si potrebbe fare a meno. Eppure anche queste brutte o incomprese opere significano qualcosa per gli autori che le hanno generate. Alla base vi è lo stesso processo creativo di espressione del sé, che forse non sempre si incanala per il meglio.

Ma quando tutto funziona e fila liscio, lo spettacolo è assicurato. Nell’arte, quello che colpisce è l’emozione che alcuni quadri – a mio avviso ben riusciti – suscitano appena li guardi, anzi li noti proprio perché non puoi smettere di guardarli, ti catturano, e non perché razionalmente li comprendi, ma perché ti arrivano, e ti attraversano corpo, mente e spirito in un solo istante. E in quell’istante il resto del mondo per un micro secondo svanisce e risuona un’emozione rara, un battito irregolare. Per un momento il tempo si ferma, si dissolve ed esiste solo quell’emozione che si espande nel corpo, alterando il respiro. Credo sia una sorta di risveglio, o un ricongiungimento di una parte di noi che non sapevamo neanche di avere e che un quadro, una nota, un battito, un gesto atletico ci permette di riconoscere e di riabbracciare.

Nello sport l’identificazione è diversa, c’è l’eccitazione per il punto, la preoccupazione per il punteggio, il desiderio di veder vincere la propria squadra o questo o quell’atleta. Si tifa, si proietta sugli altri i propri sogni e le proprie ambizioni, la propria etica, e la propria visione del mondo. Vedere una vittoria meritata e inaspettata, immedesimandosi nello spirito di chi ce l’ha fatta, di chi è andato contro tutte le statistiche ed è riuscito dove tanti altri hanno fallito è di per se una cura contro lo scetticismo e il mal di vivere.

È questa la grande magia che ci unisce, che permette all’essere umano di vivere intensamente anche vicende che personalmente non avrà occasione di vivere, ma che vivrà attraverso gli altri. La cultura, sia essa sport, musica, arte o letteratura serve in fondo anche a questo: a comunicare agli altri ciò che si ha dentro, a realizzare il proprio talento, ad accorciare la distanza percepita tra le persone, ad abbattere muri e pregiudizi, ed infine ad aiutarci a realizzare la realtà più semplice e profonda: che per realizzarci abbiamo bisogno degli altri, di qualcuno in cui specchiarci e a cui fare a nostra volta da specchio.

[1] https://www.ted.com/talks/elizabeth_gilbert_on_genius?language=it

FRANCESCA CONTI