Il terziario produttivo nel contesto attuale

di ALESSIO GISMONDI ♦

Il territorio della nostra città, vanta al 31 dicembre 2015, 52.991 residenti, con una variazione percentuale in aumento del 2,4% nel periodo che va tra il 2001 e il 2011,  è ben poca cosa se si fa riferimento alla media relativa ai comuni della provincia di Roma, dove si registra un incremento pari all’8 %. Di questi residenti circa 2.646 sono cittadini stranieri, i quali all’inizio dell’anno erano 2.570.

In pratica accade che nella vicina Cerveteri l’aumento segni un + 31,5%, mentre a Ladispoli il dato è del 24,4%, Santa Marinella + 16,4%.

Alla data del 31 dicembre 2015 le imprese registrate sul nostro territorio sono 4.396.

Il dato va letto con attenzione, in quanto è interessante la forma giuridica delle imprese.

Vediamo dunque come si articolano:

Di queste 1.320 sono società di capitale, 677 sono società di persone, 2094 sono le imprese individuali e per finire 278 sono altre forme.

Rispetto al 2014 si registra un incremento pari al 1,28%.

Abbiamo un lieve incremento delle imprese (+56) e delle unità locali (+77), diminuiscono le società di persone (-36) aumentano le società di capitale (+57) e le imprese individuali (+26).

La società di capitale quindi resta la forma più dinamica.

Un dato, che interpretiamo con atteggiamento positivo, è la crescita delle imprese femminili registrate, ben 1.171 (+30) delle quali circa un terzo opera nel settore del commercio, con una media del 26,80% del totale.

Stiamo parlando di dati di fine 2015, quindi, parliamo del pieno periodo di crisi economica mondiale.

Purtroppo leggiamo dati ormai vecchi di un anno, i dati, relativi al 2016 non sono stati ancora elaborati.

In questo momento gran parte di questi imprenditori vive una situazione al limite della sopravvivenza, in quanto tutto quello che era stato fatto nelle aziende fino a poco tempo prima e che garantiva fatturato e serenità, di punto in bianco non funziona più.

Questo problema dovuto alla crisi ha causato un enorme sconvolgimento per il mondo del lavoro, con la conseguente perdita di numeri nei fatturati, nell’occupazione e nella conseguente spesa.

Vediamo cosa è accaduto facendo un confronto con gli anni passati.

Nel 2014 gli addetti erano 13.130, mentre nel 2015 scendono a 13.001

Di questi il numero più consistente lavora nelle società di capitale, (6.322), dove a differenza delle altre imprese si registra un lieve incremento rispetto all’anno precedente.

Le imprese individuali assorbono 2.778 addetti, altre forme 2.217, le società di persone 1.684.

L’artigianato, in linea con il dato nazionale, riesce ad interrompere il trend negativo degli anni precedenti, con una performance di 720 imprese attive.

Anche il commercio al dettaglio con sede fissa, conferma i numeri, 1059 imprese.

Sembra emergere un buon livello di specializzazione, in quanto risultano indicati come non specializzati appena 137 esercizi.

ISTITUZIONI NO PROFIT (dati censimento)

Tra i comuni della provincia di Roma (ad esclusione della Capitale, ovviamente), Civitavecchia è quello che vede la maggiore presenza di istituzioni no profit:      213, di cui 150 operanti in ambito culturale, sportivo e ricreativo e 26 nel campo dell’assistenza sociale e della protezione civile.

CREDITO E FINANZA

Impieghi in milioni di euro nel 2015 sono scesi a 996.003 da 1.061.664 del 2014.

Depositi in milioni di euro: nel 2015 sono diminuiti a 620.897 dai 682.556 del 2014.

Sportelli bancari: 21 nel 2015 ovvero meno 5 rispetto al 2014.

Questi sono i numeri che muovono l’economia di Civitavecchia, un economia in crisi, carica di difficoltà nell’affrontare il presente e nel progettare il futuro.

La crisi economica ha indebolito le aziende cittadine che oltre a veder diminuite le commesse, a registrare un abbassamento dei prezzi di mercato deve fare i conti con un carico fiscale che è tra i più alti del nostro paese, e qui la domanda sorge spontanea, perchè nel nostro paese le tasse non sono uguali ovunque?

Dal  2001 è diventato operativa la riforma del titolo V, che ha dato allo stato una fisionomia federalista, spostando il centro di spesa dai livelli più alti (lo stato centrale) a quelli più locali (regioni, provincie, comuni), bene questa riforma ha fatto si che in Italia le tasse nazionali sono rimaste uguali, quelle locali no!

In pratica ogni amministrazione può decidere l’aliquota di tassazione riferita al tributo.

Ecco quindi che nella nostra città le imprese si trovano ad avere una pressione fiscale pari a circa il 68%, ovvero un socio di maggioranza all’interno dell’impresa che non produce reddito, non collabora.  Questo in cambio di servizi da terzo mondo, strade sporche e dissestate, traffico impossibile, inquinamento alle stelle, forniture idriche da denuncia, per non parlare di ciò che potrebbe dare alle aziende una velocità diversa come la banda larga o altro.

Nella nostra citta abbiamo due grandi direttive che riguardano il secondario e il terziario, che nel nostro caso è comodo accorpare, in quanto non avendo industrie pesanti il secondario è pressappoco inesistente, mi preme ricordare che il primario corrisponde all’agricoltura allevamento e pesca. Dicevamo due grandi direttive che sono il porto e la produzione di energia, poi c’è un altra economia generata da tante piccole e medie imprese, che opera nel settore manifatturiero in quello dei servizi e in quello del commercio.

La conformazione cittadina è molto vicina allo standard nazionale, dove circa il 93% sono piccole e medie imprese, tra queste la maggior parte al di sotto dei 9 dipendenti.

A Civitavecchia la percentuale di micro imprese è maggiore rispetto al dato nazionale, molto spesso si tratta di imprese a carattere famigliare.

Insomma un economia varia, una città con grandi potenziali, il mare e il suo porto, collegamenti stradali e ferroviari, una città che può e deve affrontare le sfide del mondo guardando i propri punti di forza, senza mai dimenticare,      i mali antichi e i problemi attuali.

Partendo da temi fondamentali, come la coesione, la cura del capitale umano, i rapporti con il territorio e con le comunità, senza trascurare l’innovazione.

Come possiamo provare ad immaginare un rilancio dell’economia della nostra città?

Raccogliere questa, che è la sfida centrale del nostro tempo, è un dovere.

E’ un dovere di tutta la classe dirigente, sia per coloro che si occupano di politiche pubbliche che per coloro che intendono cimentarsi con la politica, e immaginare che questo sia possibile a partire dalla nostra area urbana mi sembra la sfida più rilevante per chi amministra, chi fa politica, chi lavora o fa ricerca.

E’ questo il nodo politico e sociale della nostra città, il compito della popolazione che per la prima volta dal dopoguerra registra aspettative di vita e di reddito decrescenti rispetto a quelle delle generazioni precedenti.

Siamo una generazione destinata a consumare ricchezza e risparmio piuttosto che crearli, abbiamo bassi tassi di fertilità, siamo instabili nei comportamenti di voto, ma allo stesso modo disponibili alla solidarietà (quanti, si sono appassionati al salvataggio delle persone colpite dal terremoto e dal mal tempo), disponibili alle forme di partecipazione collaborativa, disponibili alla mobilità territoriale, siamo ricchi di competenze e di skills del tutto nuovi.

In funzione di questo le future agende di governo cittadino dovranno mettere al centro della propria azione e del disegno delle proprie politiche, questa generazione di persone in età lavorativa, soprattutto coloro che, non hanno un occupazione, o quelli che non hanno un occupazione soddisfacente.

L’instabilità politica della nostra città, non dipende dalla legge elettorale, ne, da fattori quali l’immigrazione, io credo dipenda dalla difficoltà di associare in un progetto di governo e di sviluppo, queste persone in cerca non solo di reddito ma soprattutto di uno status.

Proviamo a ipotizzare quelle che chiameremo ‘nuove economie urbane civitavecchiesi’.

I filoni di riferimento sono almeno quattro :

Quello delle imprese ad alto impatto sociale, che dovrebbero impegnarsi nel fornire servizi di nuova generazione nell’ambito del welfare, della cura della persona, della cultura e della creatività, ai quali, possiamo aggiungere tutte le forme di economia collaborativa destinate a scambiare beni e servizi, invece di promuovere il possesso esclusivo.

Quello delle imprese che operano nell’ambito del green, dell’agricoltura, e del quanto mai crescente settore del food (trasformazione e distribuzione)

Quello delle nuove manifatture, legate all’artigianato tradizionale ad alto valore, o a quello digitale.

Quello del turismo, in un momento come quello attuale in cui i driver del turismo, sono l’arte e lo stile di vita, possediamo la vocazione territoriale e naturale per diventare un centro di turismo di un area ricca di risorse artistiche e naturali.

Riguardo i primi due settori, è stato fatto molto in ambito nazionale da parte delle istituzioni, molto poco nella nostra città. Sono stati realizzati incubatori per imprese ad alto impatto sociale, o per imprese culturali e creative, sostegni al crowfunding e ai coworking, sostegni alle imprese in grado di applicare nuove tecnologie al settore primario.

Poco è stato fatto in sostegno della manifattura, che potrebbe essere un settore in grado di generare nuova occupazione.

In uno studio de ‘ILSOLE24ORE’ che cita i dati di Nomisma, dall’inizio della crisi al 2014 il tessuto produttivo nazionale si è ridotto del 17,7%, tre volte di più dell’intera area dell’euro. Eppure la produttività media delle imprese manifatturiere è rimasta stabile, passando da 56mila euro x addetto del 2008 ai 58mila euro del 2016, grazie soprattutto alle PMI, che in paragone alle rivali tedesche registrano 15 punti di produttività in più.

E sono ancora le PMI del manifatturiero a guidare l’export nella quasi totalità. Dovremmo essere fieri di queste aziende dinamiche e competitive, invece spesso siamo accusati di essere il male dell’Italia,    gli evasori, anche se và detto nell’ultimo periodo stiamo riguadagnando la fiducia del paese.

Mi viene in mente un confronto con uno stato molto più piccolo del nostro, ISRAELE che ha una popolazione di 8 milioni di abitanti, contro i 58 milioni dell’Italia. ISRAELE ha saputo fare qualcosa di eccezionale, sono stati in grado di raggiungere un successo economico di livello internazionale, mettendo a sistema tutte le nuove imprese, ora sono un paese al vertice dell’economia mondiale. Loro non hanno materie prime, non hanno terreni rigogliosi, la loro situazione politica non è certo idiliaca. Eppure esportano nel mondo industria, servizi, agricoltura. La loro percentuale di disoccupazione è del 5,8%. Come hanno fatto ad arrivare a questo? Risolvendo problemi!

In Israele sono nate imprese innovative che sono in grado di offrire soluzioni ai problemi. Non hanno vincoli, ne sovrastrutture, sono un paese giovane nel quale non esistono pratiche consolidate nel tempo difficili da scardinare. Hanno un elevata propensione alla crescita, puntano sulla tecnologia e la mettono in relazione con tutte le altre discipline.

Collaborano tutti insieme, centri di formazione, università, associazioni di categoria, aziende e centri di ricerca.  Soprattutto sono aperti al mondo.

Ma principalmente hanno quella che si chiama CULTURA IMPRENDITORIALE, nel senso che è COOL in quel territorio fare impresa, si ha la sensazione che lo stato faccia il tifo per loro, e questo è un grande approccio culturale.

Tornando al nostro territorio, non credo che questi possano essere la soluzione di tutti i problemi, ma a me sembra un ottimo punto di partenza.  Ripartire dal turismo e dal manifatturiero, settore da sempre cavallo di battaglia della nostra cultura economica, un settore che dai dati emersi a livello nazionale sta dimostrando una grande capacità di reazione a questa crisi. Guardando con occhio attento quello che succede altrove, dove l’imprenditoria segna numeri positivi, ma soprattutto rende sereni gli esseri umani, elemento che non leggiamo nella nostra città.

Dovremmo fare tesoro di quel know how che possediamo e che il mondo ci invidia.

L’obiettivo di rendere Civitavecchia un ecosistema per la nascita, l’insediamento e la crescita di attività nel campo della manifattura digitale e del nuovo artigianato, sembra un modello valido. Per renderlo possibile è necessaria un alleanza tra le figure pubbliche e private in una coalizione a guida comunale, che sappia promuovere questo concetto di manifattura, guidato da azioni mirate a conoscere i cambiamenti del mercato e dei consumi, dove la ricerca di prodotti e servizi su misura, supera quella di prodotti standardizzati.

Un altro tassello da tenere in debita considerazione resta quello di garantire la progettazione di percorsi formativi.  Fare in modo che queste professioni diventino attraenti, verso quelle tribù di giovani che si affacciano al mondo del lavoro, giovani che spesso sono troppo concentrati su ambiti formativi che appartengono a settori ormai saturi.

Coinvolgendo le scuole professionali o ipotizzare nuovi percorsi, attraverso il coinvolgimento di fablab come soggetti formatori non tradizionali o di professionisti della città, quei maestri (sono tanti) che hanno i polpastrelli intelligenti, quelli che sanno riconoscere al tatto le operazioni manuali da apportare al prodotto.

Parliamo sempre di professioni che hanno fatto dell’Italia uno dei paesi più importanti al mondo nell’ambito della produzione, il ‘MADE IN ITALY’ anche se in calo è ancora uno dei brand più importanti in ambito internazionale.

E’ inoltre necessario sostenere azioni di sensibilizzazione e trasformazione culturale degli operatori economici, degli attori sociali e dell’opinione pubblica, creando occasioni di incontro e sperimentazione tra imprese portatrici di competenza, e mondo della creatività e del design.

Ci potrebbe aiutare a capire, quale sia la forza di un azione sinergica, quanto incisivo e importante  può essere il ruolo dei media.

Basta pensare agli effetti nel settore enogastronomico di format come ‘master chef ’. In tempi brevi si è modificata l’attenzione dei consumatori riguardo al mangiare di qualità. Dati ultimi registrano un notevole calo nella vendita dei prodotti surgelati in favore di alimenti freschi decantati puntata dopo puntata. In questo comparto dove fino a poco tempo la forza lavoro era esercitata in grande numero da etnie straniere, ora, c’è riavvicinamento dei giovani. Fioriscono scuole di formazione, e quella passione tutta italiana di lavorare con dedizione al prodotto costruito con le mani, accresce in misura esponenziale la qualità di questo settore .

In una recente intervista l’ex premier Matteo Renzi dice: ‘l’innovazione ha due facce, è necessaria per arrivare a conquistare nuovi mercati, ma fà perdere posti di lavoro’

La mia visione riguardo l’innovazione è diversa, ora più che mai è possibile pensare ad un tipo diverso di mercato. Fino a poco tempo fà l’imprenditore era abituato ad operare nella totale tranquillità di sapere che il suo skill gli garantiva l’opportunità di fare il fatturato.

Ora, è vero saper fare i prodotti è fondamentale, ma è anche vero che nell’era che stiamo vivendo troviamo validi aiuti.

Il web, ci permette di avere l’opportunità che la nostra produzione può essere conosciuta in qualsiasi parte del mondo, tramite un sito internet o tramite social network.  Una strategia di lancio di un prodotto è fattibile con costi abbordabili.

La tecnologia ormai accessibile anche a piccole imprese,  da l’opportunità di avere una precisione chirurgica soprattutto se si considera la serialità degli oggetti da produrre. Le macchine fino a poco tempo fa se le potevano permettere solo le grandi industrie, ora non è più così.

La logistica moderna permette di far arrivare un prodotto in qualsiasi parte del mondo, in poco tempo e con spese contenute. Senza il bisogno, di avere alle spalle chissà quali organizzazioni.

Insomma il mondo è lì pronto per essere intercettato. Tramite l’innovazione tecnologica, unita al saper fare artigiano del nostro paese, si possono generare posti di lavoro. In quanto il nostro prodotto qualitativamente parlando fà la differenza, è ricercato ovunque.

Nel mondo le persone chiedono scarpe italiane, vestiti italiani, vini e cibi italiani, vorrebbero le case arredate con i nostri mobili.

Le parole chiave con le quali vado a concludere il mio intervento sono tre:

BUROCRAZIA: Complicare è facile, semplificare è difficile. Per complicare basta aggiungere.  Tutti sono capaci di complicare. Pochi sono capaci di semplificare.    E’ difficile essere facili. Per semplificare bisogna togliere.  Per togliere bisogna sapere cosa togliere,  come fa lo scultore quando a colpi di scalpello toglie dal masso di pietra tutto quel materiale che c’è in più della scultura che vuole fare.

Questo concetto rende comprensibile come dovrebbe essere concepita una semplificazione burocratica, bisogna sapere cosa togliere, poiché negli adempimenti che un’impresa deve osservare c’è veramente tanto da togliere, la burocrazia rallenta il processo di crescita, prende tanto, troppo tempo, elemento fondamentale nell’impresa che ha bisogno di produrre. Regole sì, ma che non affoghino il lavoro e soprattutto, la certezza che tutti le rispettino, con pene anche più severe per chi vuole operare al di fuori.

PROGETTO: Ogni volta che s’inizia un lavoro si deve partire da un progetto. Si deve conoscere bene l’obiettivo che si vuole raggiungere, si deve aver chiaro quale sarà il percorso da intraprendere per raggiungere l’obbiettivo. In questo momento storico sembra che questo metodo di azione sia stato perso, corriamo dietro quotidianamente a cercare una soluzione all’emergenza, abbiamo smesso di avere un programma, quando invece un programma è necessario, sempre. Può accadere che durante il percorso ci siano situazioni da modificare. Soltanto nel momento in cui si fanno le cose, c’è la possibilità di accorgersi che ciò che era stato pensato ha bisogno di un modifica, come succede a noi artigiani quando costruiamo un opera, spesso accade che la mano arrivi, dove non è arrivato il cervello.

SISTEMA: un grande risultato si raggiunge soltanto se c’è una squadra compatta che lavora all’unisono per l’obiettivo.

Imparare dal passato, è l’imperativo del quale bisogna fare tesoro.

È fondamentale capire che soli anche se bravi, non si và da nessuna parte. C’è bisogno di affrontare la strada che ci porta al futuro, compatti, puntando su quel sistema che mette al centro l’uomo come principale risorsa. L’uomo che si serve della tecnologia, del web, per fare innovazione, l’uomo che contribuisce alla crescita e alla formazione dei suoi giovani, pensando a loro come vivaio sul quale investire risorse.

Dobbiamo prendere consapevolezza delle potenzialità del nostro territorio.

Un tessuto di imprese in alcuni casi solido, Il porto.

Le prospettive legate al completamento della Civitavecchia Orte

Attorno a queste risorse Civitavecchia deve preparare un piano unitario, dove, necessariamente amministrazione e operatori dell’economia, a tutti i livelli, siano compatti.

Le misure che in maniera innovativa, bisogna mettere in campo in questo progetto sono:

Civitavecchia luogo di innovazione diffusa.

Civitavecchia porto di accoglienza non solo porto di mare.

Civitavecchia centro propulsore del turismo della bassa tuscia (Tuscia, Pyrgi, Cerveteri).

E poi il quesito di sempre: in che modo possiamo intercettare i flussi turistici e far si che Civitavecchia ne giovi?

Lo abbiamo detto prima, il turismo si muove su direttive, quali: l’arte, la storia, il cibo. Bene nel giro di pochi chilometri, sono presenti, tutte quelle che sono le caratteristiche di interesse, che portano le persone a scegliere un posto anzi che un altro.

C’è da fare sistema con i comuni limitrofi e servire da raccordo tra quelli che fanno parte dell’area metropolitana di Roma e quelli della provincia di Viterbo.

E ancora altre domande mi sorgono spontanee:

Perché Civitavecchia non ha un incubatore? E’ in corso la grande partita dei fondi europei, dobbiamo metterci nella condizione migliori per coglierli. Questo è possibile solo con un idea forte di città, tramite l’individuazione di misure concrete. Su queste basi, dovremmo avviare un dialogo con la regione e l’Europa.

Dobbiamo partire da questi obiettivi e queste domande. Ed è su queste basi che possiamo iniziare a vedere le risposte.

Non siamo abituati a questo sforzo d’insieme, ma io penso che ora sia il momento di farlo!

Noi come CNA stiamo in quest’ottica e ci crediamo. Il mondo è pieno di città con molte meno possibilità di Civitavecchia che hanno cambiato strada e ne raccolgono i frutti. Hanno iniziato individuando le proprie vocazioni, creando un clima diverso per le imprese, attento ai possibili investitori, lavorando con tenacia e coraggio ad un immagine.

Civitavecchia ha tutte le carte in regola per farlo.

ALESSIO GISMONDI