La post-democrazia e l’epoca dell’esibizione
di ROBERTO FIORENTINI ♦
Si parla da molto di post-democrazia. Almeno da quando il politologo britannicoColin Crouch lo ha usato nel suo saggio Post-Democracy, (Oxford, 2004) per presentare un’analisi sullo sviluppo delle democrazie all’inizio del terzo millennio. Crouch, in breve, sostiene che « Anche se le elezioni continuano a svolgersi e condizionare i governi, il dibattito elettorale è uno spettacolo saldamente controllato, condotto da gruppi rivali di professionisti esperti nelle tecniche di persuasione e si esercita su un numero ristretto di questioni selezionate da questi gruppi. La massa dei cittadini svolge un ruolo passivo, acquiescente, persino apatico, limitandosi a reagire ai segnali che riceve. A parte lo spettacolo della lotta elettorale, la politica viene decisa in privato dall’integrazione tra i governi eletti e le élite che rappresentano quasi esclusivamente interessi economici ». La globalizzazione ha fortemente accelerato questo processo, ed inoltre, da questa iniziale tesi, l’enorme sviluppo dei social network di questi ultimi anni, ha impresso una svolta e comportato un cambiamento. In una recente intervista lo stesso politologo inglese segnala la forte crescita dei movimenti populisti e nazionalisti, percepiti come qualcosa di peggio dei fenomeni previsti nel saggio citato. L’ascesa di Donald Trump, il crescente successo dellaLe Pen in Francia e dei movimenti di estrema destra in Scandinavia, Ungheria e Polonia, il ruolo di Putin nello scacchiere mondiale, raccontano di una rivolta contro la post-democrazia, in cui giocano un ruolo preponderante le emozioni. In questo senso anche il successo del Movimento Cinque Stelle in Italia potrebbe ascriversi a tale fenomeno. Emozioni che dovrebbero rappresentare la risposta delpopolo elle élite mondiali ma che finiscono per essere manipolate da quei leader che sanno usare la paura e i toni forti per spingere l’elettorato verso le proprie posizioni. Paradigmatici , in tal senso, sono il voto sulla Brexit, il successo di Trump e persino Grillo che invita a votare con la pancia al referendum costituzionale. Questo intricato coacervo di rivolta verso le élite e la politica tradizionale, di disagio causato dalle storture della globalizzazione e dagli inevitabili problemi creati dall’ imponente fenomeno migratorio dal sud del Mondo, anche grazie al tam tam inarrestabile dei social network, sta rimescolando le carte. Ecco che etichette novecentesche come socialdemocrazia, liberalismo e persino destra e sinistra finiscono per perdere completamente di significato. Finiscono per diventare completamente inutili per raccontare i nostri tempi. Il ruolo della cosiddetta post-verità, di cui ho già trattato su queste pagine, appare fondamentale. Judith Butler, filosofa e saggista americana, in uno studio apparso sulla stampa Usa , in seguito al successo di Trump ha approfondito queste tesi. La Butler sostiene : “ Sembra evidente che la presidenza diventa sempre più un fenomeno mediatico. C’è da chiedersi se molte persone non affrontino il voto con lo stesso approccio con cui affrontano le opzioni Mi Piace e Non Mi Piace su Facebook. Trump occupa spazio sullo schermo e questo genere di potenza minacciosa si nutre anche delle sue pratiche di molestie sessuali. Va dove vuole, dice quello che vuole e prende quello che vuole. Così, anche se non è carismatico nel senso tradizionale del termine, occupando lo schermo come fa lui, guadagna in levatura e in potenza personale. In questo senso, consente un’identificazione con qualcuno che infrange le regole, fa quello che vuole, guadagna soldi, ha rapporti sessuali dove e quando vuole. La volgarità riempie lo schermo così come vuole riempire il mondo. E molti si rallegrano di vedere questa persona maldestra e così poco intelligente pavoneggiarsi come fosse il centro del mondo e conquistare potere per mezzo di questa postura. “
E qui veniamo all’altro aspetto del problema: l’epoca dell’esibizione. Mi pare non si possa negare che uno dei fenomeni più rilevanti di questo secondo decennio del terzo millennio sia la diffusione dell’esibizionismo come fenomeno sociale diffuso e collettivo. La sfera dei comportamenti privati, dei sentimenti e dei rapporti familiari , tutto quello che fino a una decina di anni fa era mantenuto nei limiti dei rapporti più intimi e coperto da riserbo e decoro, è ormai esibito in modo spesso sfacciato e auto-propagandistico. Ciascuno fa storytelling di se stesso e mostra , sui social network, anche molto di quello di cui una volta persino ci si vergognava. Questo repentino imporsi di esibizionismo collettivo finisce per premiare quei leader che questa cosa la sanno fare meglio. E quindi Trump , miliardario e star del reality The Apprentice. E in Italia Beppe Grillo, miliardario e comico professionista, ad esempio. Nei social network, nei discorsi dei politici del terzo millennio ( tutti o quasi, ormai ) si mescolano verità e menzogne, problemi reali e slogan, dicerie folli, complottismo , sciocchezze e disagio sociale autentico. I media europei stanno utilizzando sempre più spesso l’espressione post-truth politics, politica della post-verità, per raccontare tutto questo. E non può che sorgere il ricordo di ciò che diceva Hannah Arendt dell’ assenza di distinzione tra vero e falso: che era da sempre il tratto distintivo di tutti i totalitarismi. E rabbrividire.
ROBERTO FIORENTINI
Una volta c’era Tribuna Politica e i commenti più comuni erano: “però… come parla bene!!”. La democrazie necessita di un presupposto, necessita della informazione e della possibilità di attingere alle fonti stesse della informazione. Io penso che l’elettorato attuale è assai più informato di 40 anni fa. Ne credo si possa onestamente dire che oggigiorno la menzogna è più utilizzata di prima. Ne hanno fatto ampio uso sia partiti di governo che partiti di opposizione, certi che nessuno li avrebbe smentiti, non credo si possa ad esempio rimpiangere le stagioni dei segreti di stato o quelle che i comunisti mangiano i bambini. Prima la rete non c’era, non potevi certo andare sul sito della Camera a leggere le leggi o le sentenze del TAR, neppure avevi a disposizione la possibilità di discutere e contraddire. Spesso poi capitava che i partiti fossero in qualche modo “sodali” al punto di evitare lo scontro su specifici argomenti. Il livello di istruzione poi è ben maggiore oggi non solo per i percorsi scolastici, ma anche per la frequenza di viaggi e di incontri assai più praticata oggi di ieri. Insomma non credo proprio che il voto di ieri fosse più consapevole del voto di oggi. Per quanto attiene invece agli “imbonitori” credo si possa tranquillamente dire che non sono mai mancati, certo lo stile era diverso, ma nella sostanza il fenomeno non era particolarmente diverso.
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Ritengo molto fondati gli argomenti di Judith Butler. E’ perfettamente vero che la menzogna, la manipolazione, la capacità di suscitare comportamenti gregari a scala di massa appartengono da sempre al corredo della propaganda politica e della conquista del consenso. In fondo anche Hitler andò al potere forte di un robusto consenso elettorale. Però c’è anche da chiedersi se un caso come l’elezione di Trump e l’emergere dei neopopulismi europei (categoria che meriterà un approfondimento e parecchie precisazioni) non costituiscano un’inquietante e inedita deriva di quella che la Butler chiama la democrazia del “like”.
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E’ il frutto di una societa’ con diseguaglianze crescenti. Una societa’ instabile e infelice nella quale si denota una rabbia confusa da qui un dilagare di neofascismi, razzismi, dei Trump e dei Le Pen.
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Io, a differenza di Luciano, non credo che l’elettorato di oggi sia più informato di quello di 40 anni fa. Penso che creda di esserlo. Penso che creda che sia sufficiente gironzolare sui social e leggere i titoli dei post per formarsi una idea sui diversi argomenti. E, a parziale dimostrazione di ciò che penso, ci sono i dati dell’analfabetismo funzionale che spiegano quanto poco capiscano di quello che pensano quasi l’80% degli italiani.
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Per fare un confronto bisognerebbe che la stessa ricerca fosse stata fatta 40 anni fa. Di sicuro le fonti di informazione e la trasparenza degli atti sono di gran lunga superiori a 40 anni fa. All’epoca l’informazione la faceva la TV di stato lottizzata e i giornali in gran parte di partito. Come dice Nicola, menzogna e manipolazione sono da sempre strumenti per la conquista del consenso oggi i mezzi utili per queste “strategie” sono molteplici e più potenti, ma la loro potenza, e quindi influenza, è direttamente proporzionale alla incapacità della classe politica governante (in senso lato, ovvero ci metto dentro industriali, finanzieri alti burocrati ecc), di risolvere i problemi di questo mondo moderno. In altre parole se i cosiddetti “populismi” avanzano non è grazie all’uso speculativo dei media, ma alla assenza di soluzioni credibili. In buona sostanza bisognerà prima o poi affrontare il problema dei livelli di responsabilità. Se è vero che siamo un po’ tutti responsabili è pur vero che c’è chi è maggiormente responsabile di altri, sia per la situazione attuale che per la possibilità di azioni da mettere in campo. L’esibizionismo di cui si parla nell’articolo è solo qualcosa di marginale al vero problema. Forse un giorno diverrà inutile. Un giorno, non saprei dire se presto o tardi, anche i “populisti” e gli “esibizionisti” non saranno più credibili, come lo è l’attuale establishment, ed allora c’è da chiedersi se ci sarà qualcosa o qualcuno in cui credere.
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Leggi su La Repubblica di oggi ( 19/1) l’articolo di Federico Rampini sull’incapacità dei ” nativi digitali” di distinguere tra verità e finzione sul web. E’ molto interessante.
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Rampini termina con le stese mie considerazioni, l’incapacità di discernere il vero dal falso, il giusto dallo sbagliato ecc.. dei giovani digitali odierni, non è maggiore di un tempo, del tempo nel quale la TV aveva un solo canale o 3, dei tempi miei insomma. Se mi etto a confronto con i miei figli debbo onestamente riconoscere che confronto a loro io sono di una ignoranza abissale idem per la capacità di comprendere il mondo attorno tanto io sono pieno di preconcetti e pregiudizi.
Rampini così termina:
“In fondo il punto di partenza, lo stato dell’arte, non è molto diverso da quando la prima televisione fece irruzione in paesi ancora poveri, irrorando di informazione e spettacolo vaste sacche di analfabetismo tout court; e per molti valeva il principio «è vero, lo ha detto la tv».”
Ora come allora ci sono imbecilli, intelligenti, scaltri, ed ingenui e via dicendo, io stesso, da ragazzo, ho creduto ad un tale che diceva “fra 5 o 10 anni l’Italia sarà rossa”. Il mio senso critico ci ha messo un po’ a liberarmi dall’ingenuità e dai preconcetti, ma ancora deve lavorare, come debbono lavorare i giovani d’oggi, i figli della rete, del resto ci vuole tempo per crescere.
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