Il sesso del rasoio
di MARCO DE LUCA ♦
Unnecessarily Gendered Products, che potrebbe tradursi come “prodotti inutilmente sessuati”, è il nome di un piccolo blog che da tempo raccoglie foto e testimonianze di casi di “genderizzazione” di oggetti di consumo. Genderizzare significa, sostanzialmente, caratterizzare qualcosa affinché sia immediatamente chiaro il sesso “di appartenenza”.
La questione, che a qualcuno potrebbe sembrare di poca importanza, è invece talmente radicata nella nostra cultura da impedirci di constatare i mille aspetti in cui quotidianamente si manifesta. Da sempre, infatti, esiste l’usanza di segmentare il mercato in prodotti per donne e per uomini, anche se il prodotto è identico: un esempio preso dal sopracitato blog sono i rasoi usa e getta, che in molti casi sono esattamente gli stessi per uomini e donne, malgrado siano venduti con colori e confezioni che vogliono identificarne e distinguerne immediatamente i destinatari o le destinatarie.
Lo stesso vale per quaderni, zaini, ma anche copertine di libri, e per un’infinita serie di cose che ormai ci lascia indifferenti ma che, se cominciassimo a notare, ci impressionerebbe per la sua ingenza. Ciò che deve farci riflettere però è che questa divisione non rappresenta semplicemente una mossa di marketing, ma è figlia di tutta quella serie di principi sulla base dei quali la società pretende di distinguere, tramite una colpevole semplificazione, le peculiarità dell’uno e dell’altro sesso.
Parlando semplicemente: Il rosa, i fiori, i fiocchi e i nastrini sono per le femmine; il blu, il celeste, il verde e tutti gli altri colori per i maschi, come anche le macchine, lo sport, i soldatini. Sono regole praticamente ovvie per tutti, talmente ovvie che non mettiamo mai in discussione la loro necessità: le imponiamo ai bambini, presentandole tramite i giocattoli, l’educazione e il nostro esempio, e da bambini le interiorizziamo e le conserviamo per tutta la nostra vita. Il problema è che quelle regole sono la punta di un enorme iceberg di significati.
Cosa sono i fiori, il rosa, i fiocchi e i lustrini se non il correlativo oggettivo di attributi come la delicatezza, l’abnegazione, la frivolezza, finanche la debolezza? Attributi, insomma, che la nostra cultura ha affibbiato all’idea di donna e con cui le bambine sono costrette ad identificarsi fin dal primo respiro. Di contro, ai maschietti è lasciata una gamma molto più vasta di colori e di emblemi, per chiarire fin da subito che, come vuole lo stereotipo, la capacità decisionale dell’uomo si muove più liberamente e in un territorio più vasto e ricco. Le caratteristiche distintive per i maschietti sono la grandezza, l’aggressività, la forza, in una parola: la dominanza. Ed è inutile sottolineare chi dovrebbe esserne succube.
Gli effetti di questa segmentazione dei valori, come è ovvio, non si manifestano solo sotto forma di oggetti, bensì in ogni aspetto della vita del bambino (ma anche dell’adolescente e dell’adulto), senza risparmiare le attitudini e il carattere. Da una donna ci si aspetta che abbia un certo tipo di passioni, che si dedichi a un certo tipo di attività, che apprezzi un certo tipo di cose e che abbia un certo tipo di atteggiamento; lo stesso vale per un uomo, con un diverso sistema di riferimento.
Si usa dire che una donna è femminile quando, per esempio, ha le spalle strette, la vita piccola, magari i capelli lunghi, è formosa e dai modi aggraziati; in realtà, questa sembra piuttosto la descrizione di una donna fatta per “compiacere l’uomo”, soprattutto se propensa alla remissività.
Si usa dire che un uomo è virile quando è forte, ha le spalle larghe, è sicuro di sé, non mostra debolezze, “non deve chiedere mai”, è deciso (che spesso significa aggressivo e che spesso, purtroppo, significa violento); in realtà, questa sembra piuttosto la descrizione dell’uomo-padrone, pronto per affermarsi e predominare. Donne e uomini che ancora, nel 2017, non riescono a liberarsi di questo sistema di stereotipi, e i passi che si compiono per migliorarlo, per quanto benefici, appaiono minuscoli.
È un fatto che ci siano differenze biologiche, reali e oggettive tra gli individui di sesso maschile e femminile, ma ciò non giustifica questa degenerazione. Un uomo non può apprezzare ciò che è “adibito” al gusto femminile senza che la sua virilità risulti messa in discussione; al contrario, le donne possono apprezzare con più libertà cose “da uomini”, ma non c’è da gioirne, considerato che ancora oggi per una donna è possibile guadagnare meno di un uomo pur essendo più brava di lui.
C’è stato un tempo in cui persino una neonata che usasse suggere con troppa veemenza i seni della madre era guardata con biasimo, mentre la stessa indole famelica in un maschio era un motivo di orgoglio – “perché così deve essere l’uomo”. Fortunatamente ci siamo liberati di questo aspetto, che oggi può sembrarci alquanto ingenuo, ma ce ne sono molti altri che rimangono irrisolti, e che probabilmente ai posteri sembreranno ancora più ingenui e ridicoli: per esempio, le pressioni di cui i bambini risentono affinché preferiscano giocattoli, quaderni, vestiti, colori che si addicano al loro genere e anzi che lo identifichino e lo affermino (il che nei bambini è ancora più deplorevole in quanto va contro la natura stessa dell’infanzia, in cui le differenze di genere sono ancora estremamente tenui). Ma sono un esempio anche le resistenze che affrontano donne e uomini quando cercano di evadere dalla gabbia degli stereotipi. E anche le norme non scritte cui sottostà ognuno di noi, tutti i giorni, inconsciamente, nel momento in cui sceglie un prodotto solo perché riflette il suo sesso, perché afferma una certa appartenenza; nel momento in cui, senza rendercene conto, portiamo avanti il baluardo di una discriminazione inutile e obsoleta.
MARCO DE LUCA
E se le differenze di genere avessero un reale senso e l’affermarle sia funzionale a ciò?
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Le differenze di genere esistono ed affermarle ha un reale senso, infatti. Il problema è capire fino a dove. Nessuno puó dire che è giusto che una donna guadagni meno di un uomo per lo stesso lavoro; eppure è così. E secondo me è così anche a causa di preconcetti infusi fin dall’infanzia.
A riguardo consiglio la lettura di un saggio illuminante: “Dalla parte delle bambine” di Elena Gianini Belotti.
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Beh, le donne debbono spesso conciliare anche il mestiere di mamma e donna di casa, cosa che nel pensiero dell’imprenditore privato significa minor presenza e produttività, almeno in teoria preconcetta. E’ innegabile che un problema di compatibilità ci sia, molti imprenditori, ad esempio, non sono proprio felici quando una loro dipendente rimane a casa per gestazione, oppure non sono disponibili per le legittime necessità familiari, figli ecc..
Ma questo è solo uno degli aspetti del tema. Ricordo da piccolo c’era una bambina che voleva giocare a guerra con me, e a me, maschietto, proprio non andava giù di giocare a guerra con una femminuccia e ciò mi procurava scontri anche violenti con mia madre che voleva che giocassi a guerra con lei. Ora, ho continuo contatto con le donne soldato, ma per quanto possano essere “uguali” non è raro vederle con appresso i pargoli che non sanno a chi lasciare. Ancora ci vorrà molto tempo perchè gli uomini vestano completamente i panni dei mammi.
Insomma mi domando se non sia giusto che le donne facciano e valorizzino il loro essere donna piuttosto che fare l’uomo e cercare di dimostrare di poter essere uomo. Insomma, non mi sento d’essere un “maschilista, ma penso che più che occuparsi di eliminare le differenze di genere bisognerebbe occuparsi di rendere possibile il realizzarsi della donna in tutti i suoi aspetti. Il pensiero va a quelle donne che vorrebbero poter fare la mamma ma non possono farlo poichè debbono portare a casa uno stipendio. Insomma la domanda è va: valorizzato il genere in quanto tale per permetterne un pieno vissuto o va ignorato cercando la parità di genere in ogni aspetto? Io non saprei, di certo una donna vestita da uomo sembra un uomo non sembra una donna, ne una donna con i calli alle mani può dispensare “morbide carezze”. Di contro credo che all’uomo manchino certe sensibilità prettamente femminili. E’ giusto essere unisex sin dalla nascita? Non azzardo risposte.
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Quel libro della Belotti io lo lessi tanti anni fa ma ero già convinta di mio di tante cose; alle elemtari io andavo dalle suore e la ricreazione per le bambine consisteva nello rimanere in aula a non fare nulla mentre i maschietti potevano andare in cortile e scatenarsi con il pallone; peró se eri stata cattiva ti mandavano come punizione a giocare fuori con i maschi; le povere suorine per molti anni non capirono che io ero cattiva apposta. Questo è solo un antico ricordo ma posso dire che svolgendo un lavoro più maschile che femminile di stereotipi ne ho dovuto superare molti e da presidente nel biennio 2013 – 2015 della Fidapa mi sono adoperata per la parità di genere poichè questa è la missione di quella associazione: purtroppo non sempre degnamente rappresentata
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