SGUARDI DI UN FUTURO NON MOLTO LONTANO
di DARIO BERTOLO ♦
Lunedì 24 dicembre 2046. Vigilia di Natale.
L’uomo (ormai anziano) come ogni mattina si informa su quello che accade in Italia e nel Mondo. Molti decenni fa, quando era ancora ragazzo, esistevano ancora i giornali di carta dall’odore inconfondibile della stampa, che venivano venduti in chioschi caratteristici dette edicole. Era il tempo dove molto si pagava con le monete di metallo povero e le banconote filigranate. I mercati rionali e i negozi sotto casa non si erano ancora estinti, ed erano luoghi dove si poteva acquistare e addirittura scegliere in piena libertà la migliore qualità di agrumi e frutta, esposta alla rinfusa, anche se erano già assai diffuse le grandi catene di distribuzione commerciale. Si era agli albori del commercio elettronico, quello per intenderci, su Internet con i vari Amazon, Ebay, Big-Commerce, Google. Lo stesso che dopo 30 anni sarebbe divenuto l’unico modo per acquistare qualsiasi cosa, ivi compreso il proprio funerale.
La rivoluzione digitale. Il progresso, il vantaggio, il benessere. Per tutti, anche oggi che siamo 8,5 miliardi di persone su questo mondo sempre più connesso e pur tuttavia sempre più piccolo.
L’uomo (anziano) sfiora con mano incerta il sensore posto a fianco del suo letto e l’immagine, come d’incanto, si materializza davanti ai suoi occhi. La schermata iniziale del notiziario che la rete mondiale trasmette, ormai da 20 anni ininterrottamente giorno e notte, chiede di identificare la nazione dell’utente. Basta uno sguardo e il gioco è fatto. La storia scorre rapidamente all’indietro.
Da quando, a metà degli anni 20 del 2000, l’Unione Europea implose a causa delle spinte nazionalistiche emergenti in quel periodo e che di fatto spostò all’indietro le lancette della storia di mezzo secolo, ripristinando i confini nazionali e soprattutto le contrapposizioni politiche ed etniche, peraltro mai sopite, ogni paese si riprese la propria identità culturale e patriottica, ivi compreso lo spirito espansionistico e guerrafondaio. La moneta unica, l’ormai dimenticato Euro, fu rapidamente solo un ricordo. Dopo la grande crisi economica degli anni 10, la madre della deflagrazione dell’Unione, l’onda nazional popolare e populista divenne inarrestabile. In Europa, in Italia così come nel Mondo. La grande migrazione delle popolazioni sub africane, in fuga da guerre, carestie e dalle barbarie del sedicente Stato Islamico ( creato, finanziato, supportato dagli Stati Uniti e poi, trionfalmente annientato nel 2019 con la immancabile propaganda patriottica a suggello della supremazia a stelle e strisce) verso le coste italiane ed i confini Europei fu uno dei pretesti , forse quello con più impatto emotivo e mediatico, per consolidare e fomentare i sentimenti antieuropeisti ancora ben radicati in buona parte delle popolazioni del vecchio continente. In Italia politici come il leghista Salvini (che fu in seguito anche per breve tempo Ministro degli Interni con uno dei tre governi 5Stelle) e i rappresentanti della destra forcaiola riuscirono, insieme al Movimento che Grillo riuscì, in quegli anni, a portare ai massimi vertici di consenso nazionale sfruttando appunto l’onda lunga del malcontento popolare, a governare un paese in preda a isterismi politici e incontrollati moti rivoluzionari. Sfruttando un mezzo di comunicazione formidabile, per quei tempi: Internet. Per la precisione i “social network” dell’epoca. Facebook e Twitter. Ormai oggi nessuno li ricorda più (sono stati rapidamente superati dalle nuove tecnologie di comunicazione olografica che in pochi anni li hanno, come dire, “estinti” al pari dei dinosauri nel Cretaceo-Paleocene) ma su queste piattaforme virtuali i movimenti politici e personaggi pubblici crearono fortune e consensi inimmaginabili. Lo stesso Cinque Stelle fondato da Beppe Grillo, prima che quest’ultimo morì in esilio dopo 15 anni di latitanza a seguito dei guai giudiziari derivati da illeciti finanziari nella gestione dei suoi blog/aziende, governò per diversi anni a vario titolo in Italia proprio attingendo alla straordinaria divulgazione di questo strumento. Millantando la possibilità, in maniera pseudo democratica, di esternare liberamente le proprie idee riguardo tutto e tutti, e illudendo che la base potesse decidere in tempo reale e in modo condiviso linee politiche e scelta di candidati anche a cariche governative, si crearono i primi tasselli di quella che fu “la prima fase destabilizzatrice”. Una presa di potere virtuale, basata sulla divulgazione sistematica e scientifica di notizie più o meno false, possibilmente denigratorie, nei confronti del sistema politico e sociale di quei tempi. Supportata naturalmente da milioni di individui, la maggior parte insoddisfatta da un tenore di vita incerto, spesso difficoltoso ma nel contempo non privo di dignità, che il bombardamento mediatico consumistico rese inquieto e mal sopportabile. L’impossibilità, in molti casi, di trovare una occupazione lavorativa non precaria, unità dalla incapacità congenita dei giovani di 40 anni fa di valutare obiettivamente le proprie debolezze , caratteriali e soprattutto culturali oltre ad una buona dose di superficialità nei rapporti umani sono state le linfe vitali che hanno consentito la crescita di una giungla mediatica sempre più tentacolare, causa negli anni successivi di tentativi fortunatamente mal riusciti di fomentare una golpe istituzionale e democratico .
Così disse un uomo saggio: “I Romani al Colosseo erano soliti decidere la sorte delle vittime sacrificali, o dei gladiatori sconfitti ma valorosi. Pollice in giù, morte. Pollice in sù, consenso. Che contraddistingue Facebook dal Colosseo? Niente, solo il colore del sangue, forse…”
La sinistra all’epoca era moderatamente rappresentata. Merito, per un breve periodo, di Matteo Renzi da Rignano sull’Arno, Firenze. Ex concorrente di un quiz condotto da Mike Bongiorno, la “Ruota della fortuna”, ne fece, ideologicamente, il suo mantra pensiero. E anche la sua , come tante altre girò qualche volta bene, altre meno.
In un contesto magmatico e liquido di una sinistra spaccata da posizionamenti più o meno estremisti, con un riferimento storico come il PCI che nel tempo aveva subito traumaticamente gli eventi che dapprima lo portarono a sconfessare parzialmente la sua identità Marxista Leninista e poi a fondersi con quello che per decenni era stato il suo principale antagonista politico, la Democrazia Cristiana poi Margherita, Renzi sembrò portare una nuova ventata progressista. Su questa incentrò dapprima la sua opera di decentramento politico degli avversari all’interno del partito per poi aprire una fase governativa non priva anch’essa di proclami e promesse. Ne pagò un duro scotto, uscendo sconfitto da un referendum i cui contenuti abrogativi erano più che motivati e legittimi, ma, per un chiaro errore di valutazione politica, indetto incautamente e sostanzialmente per autoproclamarsi, in caso di vittoria, erede “omni tempore” dei padri della sinistra italiana e della fase riformista nella Terza Repubblica.
La famosa ruota girò in modo diverso quando pochi mesi dopo , a seguito dello strappo consumato all’interno del suo partito che causò una drammatica scissione con conseguente frammentazione dell’elettorato, trovò il modo di formare un nuovo contenitore politico di stampo centrista, con forti connotazioni moderate nel quale confluirono buona parte delle forze politiche del centro destra riconducibili al miliardario Silvio Berlusconi, primo artefice della spettacolarizzazione partitica e che diede inizio , sul finire del XX secolo al declino morale delle istituzioni repubblicane e dei suoi interpreti. Un partito che purtroppo ancora oggi è presente nella scena politica, sia al Senato che alla Camera con una buona rappresentanza.
Quello che rimane di quel periodo, Matteo Renzi lo ricorda ancora oggi, seppur ormai anziano. Il rammarico di non aver potuto cambiare un sistema e una costituzione che è ancora del tutto uguale al 2016. Infatti è così. Le leggi continuano ad essere discusse ed approvate e rimpallate all’infinito in un sistema bicamerale, gli accordi trasversali e i veti incrociati imperano, il parlamento, i parlamentari e i giochi di potere regnano imperituro. La sacra Costituzione, inviolabile, intoccabile, insuperabile, intangibile, da 98 anni baluardo della Democrazia, nessuno ormai la conosce più, ammesso che così fosse anche prima. Solo due cose sono cambiate: il numero dei governi, arrivato a superare la soglia fatidica di 100 in 110 anni e il primo Presidente della Repubblica. Donna e di colore.
Anche lo scenario mondiale è mutato. Due sole superpotenze. Una militare, gli Stati Uniti d’America, una economica, la Repubblica Popolare Cinese. Nel mezzo un numero di nazioni numerose come mai negli ultimi 200 anni, frutto di una polverizzazione dei territori e delle popolazioni sotto spinte autonome e secessioniste, più facili da controllare e da assoggettare tramite strette economiche e ricatti militari. Anche l’Europa, relegata a ruoli periferici a causa della esaurita spinta progressista dovuta alla fine dell’Unione, vive una fase di transizione politica dovuta alla fine dei movimenti omofobi e razzisti al potere ormai da 20 anni. Anni nei quali l’isolamento sociale, causato dall’irrigidimento nei controlli dei confini ha lentamente consumato l’economia delle singole nazioni, già duramente provate dalla fine della moneta unica e dai problemi, tutt’ora in parte presenti, ad esso derivati.
Un continente nel quale sopravvive ancora parte del proprio spirito culturale millenario ma ormai considerato una zavorra da sacrificare, o peggio da estirpare, nel nome sacro dell’esasperata corsa al profitto che le maggiori lobby del mondo impongono sfrenatamente, consapevoli della debolezza di sistema ormai privo di riferimenti su cui basarsi, o identificarsi.
Sono i pensieri quotidiani che l’uomo (anziano) fa ogni giorno, ogni mattina, ormai da tempo.
E non manca quello a lui più caro. La sua città, sempre meno industriale ( le centrali dell’Enel sono state spente da anni e i simulacri d’acciaio marciscono arrugginiti come il fantasma dello yacht della mega-truffa ancora visibile dalla vecchia Aurelia, oggi strada secondaria sostituita dalle faraoniche autostrade internazionali ) ; sempre meno portuale ( i traffici , causa una mediocre visione imprenditoriale del management dell’epoca improntata sulla personalizzazione delle aziende a scopi politici e di consenso , sono progressivamente calati fino a raggiungere volumi minimi non concorrenziali) ; sempre meno crocieristica ( gli armatori e le grandi compagnie di navigazione hanno dirottato le proprie rotte su Livorno e Piombino, città che hanno saputo adeguarsi prontamente alle sempre maggiori richieste commerciali e turistiche, attraverso la creazione di infrastrutture e aree logistiche rispondenti alle esigenze ) e ormai ,purtroppo, sempre meno vivibile.
Con una disoccupazione ormai cronica e alle prese con un calo demografico preoccupante, frutto di una emigrazione giovanile verso opportunità lavorative più stabilizzanti. Con una classe politica che ancora sta pagando anni di malgoverno caratterizzato da continue diaspore personali anche violente piuttosto che da governi inadeguati composti da figure secondarie catapultate, loro malgrado, a ruoli decisionali i cui risultati negativi ancora oggi, dopo 30 anni, sono ricordati come la causa dell’inizio della decadenza inarrestabile della città e del comprensorio.
Molti di loro sono spariti dalla scena politica, altri si sono riciclati nei nuovi contenitori ideologici formatosi nel tempo, spesso in contrapposizione con le proprie convinzioni sostenute accanitamente , soprattutto in materia ambientale, durante gli anni di militanza all’insegna della cosiddetta “rivoluzione degli onesti”, miseramente e mediaticamente fallita con l’avvio delle indagini su alcuni dei riferimenti nazionali prima e con la negazione ottusa e reiterata anche davanti a conclamati coinvolgimenti malavitosi dopo.
Improvvisamente l’uomo (anziano) si sente stanco. Troppi lampi nella sua mente, troppa rassegnazione figlia della rabbia per non aver potuto fare di più nella sua lunga vita. Ed un senso di impotenza e di nostalgia, accumulati tra loro dal ricordo di quando, anni fa insieme a cari amici, commentava sul pc (si chiamava così.) gli articoli scritti in un blog aperto a tutti quelli che volevano esprimere opinioni e pareri. Tempi dove c’era ancora la voglia di un confronto libero, appassionato, anche duro ma propositivo. Dove le discussioni si facevano in luoghi condivisi e non in “conference call” né sui moderni canali comunicativi interattivi. Dove le persone si incontravano davvero e non virtualmente. Dove la vigilia di Natale, nelle case, si facevano “le biscuttine” e le “ciambellette”, si preparava il cenone con l’immancabile capitone e si finiva con la tombola sempre piena di voci e false quaterne della zia mezza sorda. Dove il Papa (da 5 anni pontifica PIO XIII, il primo Papa americano) dava la benedizione “Urbi et Orbi” in piazza S. Pietro con migliaia di persone e non sui tablet in un messaggio sulla linea personale digitale. Dove i ragazzini si aspettavano i regali da Babbo Natale, quel personaggio scandinavo che ancora oggi ogni tanto compare sulle (poche) pubblicità a fine anno. Dove la fila per pagare le bollette si faceva agli uffici postali e non, come ora, davanti ad uno schermo nel salotto di casa. Si potrebbe continuare ancora a lungo, ma è meglio fermarsi qui.
Quando arriva il tempo in cui si potrebbe, è passato quello in cui si può..
(Marie Von Ebner-Eschenbach)
Dopo tutto, si domandano i pochi rimasti, chi è che non pagherebbe per tornare al 2016?
DARIO BERTOLO
Oh mamma mia, amico carissimo, che ventata di ottimismo… 😦
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Roby, trova l’intruso…..
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L’uomo anziano doveva essere uno di quelli che pensava che la disoccupazione giovanile ed il disagio sociale furono dovuti alla incapacità dei giovani “bamboccioni?” di realizare il proprio futuro e di comprendere la propria inadeguatezza. Doveva essere uno di quelli che pensava: “..si hai un lavoro precario, anche un po’ mal pagato, però è pur sempre dignitoso, in fondo non dovresti lamentartene”. L’uomo anziano non ricorda come il suo paese, in quegli anni, fosse soffocato da mafie e camorre, corruzione e familismi vari. Si ricorda solo di migranti e razzisti?
Si sa, ad una certa età la memoria vacilla e non è difficile che si confonda la causa con l’effetto.
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L’uomo anziano era anche uno di quelli non dimenticava come la disoccupazione giovanile era anche una conseguenza alla incapacità, nei decenni precedenti, da parte dello Stato che avrebbe dovuto essere il garante ( costituzionale…. ) dei diritti occupazionali per tutti, nell’impedire la creazione del suo mostruoso apparato burocratico che se da una parte ha garantito stabilità ad una parte dei propri cittadini, amplificandone esponenzialmente privilegi e sicurezze a tutti i livelli, da un’altra si è comportato come “Saturno che divora i suoi figli”. Che poi il precariato sia stato utilizzato spesso come strumento di analisi sociologica a fini propagandistici e secondo le convenienze, questo è un dato di fatto caratteristico di quegli anni. Con la conseguenza di attribuire una corresponsabilità spostando il problema e sviandone le cause. Cosa che in altri paesi non è successo. E’ vero che la memoria vacilla dopo una certa età, e spesso distorce i ricordi, annebbiando quelli brutti ed enfatizzando i belli. L’uomo anziano in quanto tale non sfugge a questa legge universale. Spera solo che la senilità non gli privi totalmente la capacità di giudizio quanto più equilibrato su argomenti e su persone, spesso in gioventù poco accondiscendente e critico soprattutto riguardo le ipocrisie e i posizionamenti ondivaghi pullulanti a quei tempi.
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L’uomo anziano getta un sasso nello stagno. Una provocazione consapevole che come tale va considerata per sollecitarci a riflettere in maniera responsabile su possibili scenari del futuro prossimo. Non per adagiarsi nella contemplazione di un’apocalisse imminente, ma per restituire a tutti noi la responsabilità di penare fuori da vecchi schemi ma anche da nuove paranoie.
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Errata corrige: non “penare” ma “pensare fuori dai vecchi schemi”. Però, ripensandoci, va bene anche penare…
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si una provocazione a cui sapremo rispondere?
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Tempo fa mio figlio mi chiese cosa fosse la “negentropia”. Non avendone idea iniziammo assieme a sviscerarne il concetto.
Lo trovammo assai interessante. La faccio breve, considerando il concetto in senso molto largo, ed adattandolo alla bisogna, potremmo dire che, laddove in un sistema, dovessimo risolverne delle negatività, avremmo bisogni di apporti giusti, ovvero attività ed elaborazione di pensiero capaci di risolvere le negatività ovvero l’entropia del sistema, e che non richiedano ulteriore apporto correttivo.
Esempio banale: se per affrontare un problema elaboro ed attuo una riforma “sbagliata”, non solo non risolverò il problema o forse lo risolverò in parte, ma dovrò in seguito consumare ulteriore tempo ed ulteriori risorse per correggere i danni provocati dalla “riforma sbagliata” (non mi riferisco all’attualità politica, è solo per facile esempio. E dunque, la domanda di Rosamaria ne sollecita un’altra: Da dove si parte per trovare le risposte giuste? Io dico che bisognerebbe partire dalla individuazione dei presupposti poichè credo sia assai più virtuoso occuparsi delle cause e risolvere quelle. Sebbene gli effetti vadano comunque tamponati, ma questa è arte di chi governa il presente non di chi vuol progettare l futuro.
Ovvio, rimuginare il presente è lecito ed interessante, ma, persone intelligenti come noi qui ci reputiamo, potrebbero fare di meglio, non dico che si potrebbe cambiare la storia dell’uomo “anziano”, siamo comunque persone assai realiste, però otremmo depositare qualche seme di pensiero, hai visto mai, qualcosa attecchisce. Rosamaria, l’unico modo per sapere se sapremo rispondere è provarci, in fondo pensare è gratis e fa bene alle nostre cellule neurali e da questo punto di vista molto negentropico, poichè qui si pensa bene, non ci sono i rumori della guerra mediatica, gli insulti e le grida che possiamo sentire appena apriamo un poco la finestra.
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Nella sua puntuale ricostruzione degli eventi di mezzo secolo prima,l’uomo anziano ha dimenticato un piccolo particolare che,appartenendo alla cronaca dell’epoca e non alla storia,nessuno più ricorda.Nel periodo sovrascritto si tenne un referendum,come ricorda l’uomo vecchio e uno degli obiettivi dei propositori era di rendere le leggi più svelte,perché primi ci mettevano anni ad essere approvate,passando da una camera all’altra e poi all’altra e di nuovo all’altra.Morto il referendum si disse che adesso le leggi non si fanno più.Ma solo dopo qualche giorno dal Referendum le due camere impiegarono due giorni per fare una legge che regalava 20 miliardi della moneta allora in campo ai ladroni delle banche che,appenna intascati,se li portarono in Svizzera,a San marino e nei forzieri di un piccolo stato esistente allora,chiamato stato del vaticano.
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All’epoca v’erano anche furiosi scontri fra poteri, la magistratura, anch’essa divisa in gruppi politici, si scontrava spesso ferocemente con la politica, ingenerando, nella gente, gran confusione. Non di rado accadeva che i ladri non fossero più tali e gli innocenti divenissero colpevoli e viceversa. Ma di ciò la politica non sembrava subir gran danno, spesso chi usciva dalla porta rientrava dalla finestra. All’epoca gli scandali erano così frequenti da non essere più considerati tali. Ci fu chi scrisse che più il fatto è eclatante e meno par credibile, mi pare si chiamasse Eco. Così che, la gente diceva: “se s’ha da rubare s’ha da far bene in modo sostanzioso dal che si sa, il ladro di galline va in galera, chi sa rubare no”. Ma tutto era confuso, assai confuso…!!
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Dario, ma neppure una parola sui tre mondiali di fila vinti dalla Catalogna negli anni ’30?
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