Elezioni americane: non sempre la classe operaia va in paradiso.

di PIERO ALESSI ♦

Sono convinto che il mondo non sarà più quello di prima. In questi anni di incertezza economica, di instabilità politica, di ansia per le sorti del pianeta , serbavo in tasca la presidenza di Barack Obama come di un ombrello che avrebbe offerto un riparo al diluvio. Hillary Clinton ne avrebbe rappresentato la continuità, con in più un apprezzabile ingrediente di genere.  Oggi quell’ombrello non c’è più e sono convinto che, con la vittoria elettorale di Donald Trump, a Presidente degli Stati Uniti, siano legittime le preoccupazioni per il futuro. Il mondo rifletterà attorno al risultato elettorale americano.

Una superficiale e irresponsabile indifferenza forse porta alcuni a ritenere che in fondo, non c’è da preoccuparsi, tanto sono tutti uguali. Quante volte abbiamo sentito questo commento? Per le elezioni americane ma anche nelle competizioni elettorali italiane. Ebbene, ciò che accadrà renderà chiaro a tutti che questa affermazione è falsa. Non sono tutti uguali. La mia speranza è che il risveglio delle coscienze, che comunque intravedo tardivo e doloroso, non avvenga a seguito di fatti analoghi a quelli già vissuti drammaticamente dall’umanità. Si dovrà riflettere e si cercherà, ciascuno con i propri mezzi, di interpretare il voto americano. Non solo in ragione di ciò che è avvenuto in quel Paese ma rispetto a fenomeni in corso nell’intero Occidente, cioè, vale ricordarlo, nella parte più ricca del pianeta.

Populismo e antipolitica. Sono i termini della modernità. Sono categorie talvolta indistinte e di difficile interpretazione. Io voglio adoperare, controcorrente, una semplificazione terminologica, otto-novecentesca, che rende però immediatamente chiaro di cosa stiamo parlando in termini di valori, idealità e progetti. È la destra che vince in America e trova motivi di convergenza internazionale; dalla stessa America, all’Ungheria e alle nazioni dell’Est europeo; dalla Francia alla Gran Bretagna, all’Italia ecc. ecc. Rinascono e si rafforzano movimenti di estrema destra, persino filonazisti, che per ora sono solo defilati e impegnati a tenere lo strascico a formazioni politiche appena più presentabili.

La pura constatazione che Trump ha prevalso, contro ogni ragionevole previsione, mi pare ovvia. Sembra un dato acquisito che anche gli operai e l’America più povera, hanno contribuito alla sua vittoria. Da questo a lanciarsi in analisi altrettanto ovvie il passo è corto. Il sistema capitalistico, in Occidente, ha mantenuto ed anzi acuito un profondo malessere sociale, coltivato iniquità ed ingiustizie sociali, la povertà è aumentata spingendo verso il basso la classe media. Per alcuni la ricetta è semplice: tornare dal popolo e assumerne istanze e ragioni.

Siamo sicuri che sia tutto così semplice? Siamo sicuri che stiamo parlando della stessa classe operaia, che doveva e poteva aspirare all’egemonia; di cui, nel nostro Paese, parlava Gramsci? Di quella classe accogliente, solidale, tollerante e che pensava ad una alleanza con il mondo dei saperi per vincere una battaglia per un mondo più giusto, nel quale si potessero affermare gli ideali della rivoluzione francese?

Quando si dice che bisogna tornare tra la gente si usa una formula vuota. Il problema, che non può essere rimosso è cosa dire a quella gente. Sarò ancora più esplicito. Oggi per me è un giorno triste e forse non vedo le cose con grande chiarezza ma ho visto vincere in America la sua pancia; una pancia piena di hot dog al ketchup o senape, patatine fritte e birra. Dobbiamo accomodarci a questa tavola e trovare gustose queste stesse indigeste pietanze?  E’ anche evidente che la sinistra (sempre per usare classificazioni desuete), complessivamente intesa, in tutto l’occidente, deve rivisitare, con modalità possibilmente unitarie, programmi, pratiche politiche e linguaggi ma ritengo che questo non possa avvenire a scapito di valori fondanti che non possono essere messi in discussione anche se il vento soffia forte in un’altra direzione.

Certo che vanno redistribuite le risorse, superando iniquità ed ingiustizie, ma non vanno sottaciute verità scomode ad ascoltarsi. Partiamo da quello che mi pare l’aspetto più rilevante; da quello che dovrebbe essere considerato da tutti i sani di mente come il bene supremo: la pace.

Allunghiamo il collo e sbirciamo quello che accade ora, in questo preciso momento, fuori, ma non così lontano, dal cortile di casa: si combattono in Africa, Asia, nella stessa Europa, in Medio Oriente, nelle Americhe, ben 67 (sessantasette) guerre e sono impegnati in attività di guerriglia armata 733 formazioni.

La vittoria di Trump in America, la presidenza Putin in Russia, la presidenza di Erdogan in Turchia, il terrorismo di matrice islamica, il Medio-Oriente, le guerre tribali ed etniche in Africa,  la sostanziale debolezza europea sono elementi rassicuranti per la pace e la regolazione dei conflitti armati o non rendono la situazione densa di foschi interrogativi per il futuro? Davvero c’è chi pensa che quanto avvenuto in America è da derubricare in fretta come un normale avvicendarsi di forze politiche?

In questa luce, non si sarebbe dovuto, ferma restando la legittima e diffusa insoddisfazione per le sempre più difficili condizioni di vita, con un voto consapevole tutelare questo bene supremo che è la pace? Altri numeri interessanti riguardano le condizioni di vita degli esseri umani nel nostro pianeta: sono quasi 870 milioni le persone che soffrono la fame e più di un miliardo le persone che non hanno sufficiente accesso all’acqua potabile e si stima che 400 milioni di queste siano bambini. Tre miliardi di persone al mondo vivono con 2,5 dollari al giorno (1,8 euro). Nella povertà esiste un’ulteriore forma di indigenza, la cosiddetta “povertà estrema” alla quale appartiene chi vive con meno di 1,25 dollari al giorno: parliamo di 1,4 miliardi di persone al mondo (di cui il 75% sono donne). Pensiamo davvero che il segnale di chiusura egoistica, dentro i propri confini di benessere nazionale, offerto dalle elezioni americane, sia il giusto segnale da inviare ad un terzo del pianeta che sopporta sofferenze intollerabili?

Perché questa premessa dal sapore catastrofico? Perché se a questi dati, gettati sul tavolo alla rinfusa, si sommano quelli sul riscaldamento globale e sulla insufficienza della produzione alimentare mondiale a soddisfare le esigenze di tutti (stante la iniqua distribuzione planetaria delle risorse) si comprende come troppo spesso il dito nasconda la Luna e le nostre discussioni vivano in un ambito e in un orizzonte ristretto.

Ora, è verosimile che in questo contesto si possa predicare ad una parte privilegiata di un pianeta, che ha ormai superato i sette miliardi di abitanti, che le condizioni delle persone nell’occidente possono agevolmente tornare alle condizioni pre-crisi?

Si può affermare con disinvoltura che di fronte a miliardi di persone che aspirano legittimamente al benessere si possa consumare energia allo stesso ritmo degli anni di impetuosa crescita economica? Si può ragionevolmente ritenere che si debbano alzare muri per impedire la mobilità territoriale di centinaia di milioni di esseri umani che spesso fuggono da guerre, carestie e miseria profonda?

Solo a titolo di esempio, piccolo ma estremamente indicativo: di fronte alla enormità dei problemi che abbiamo di fronte, in provincia di Ferrara, a Goro e nella sua frazione Gorino esplode la protesta popolare, con blocchi stradali, per scongiurare il pericolo che gli equilibri e la serenità familiare e collettiva del paesino vengano sconvolti. Il pericolo è serio. Ben dodici donne di cui una in cinta ed otto bambini si preparano, con la complicità dello Stato, a occupare quattro case e diffondere violenze e terrore tra i pacifici abitanti. Tutto ciò è emblematico. Non si tratta di una vicenda isolata. Quanto avvenuto è la cartina di tornasole dell’esatta reazione che stiamo manifestando di fronte a problemi ai quali non è semplice dare risposte. La paura di perdere anche quel poco che si ha scatena i peggiori istinti. E, purtroppo, spesso meno si ha e più è radicato il terrore di perderlo.

Dobbiamo farci interpreti di questi istinti allo scopo di rincorrere i consensi, oppure dobbiamo con coraggio, e senza smarrire l’ordine delle priorità, mettere le mani nelle cose per affrontare con buonsenso le gravi contraddizioni che ci consegna un sistema economico e sociale che è fondato sulla ineguaglianza? Ma, il buonsenso non può scivolare verso il cedimento demagogico; le questioni sono complicate e non ci sono ricette semplici.

Le paure non vanno cavalcate; la sinistra riformista non deve, minacciata dall’onda della destra, smarrire ideali e valori. Le lotte alle disparità e alle ingiustizie debbono essere condotte con rigore , realismo e coerenza senza mai cedere un centimetro di terreno rispetto a quei sentimenti di umanità che rendono ancora utile e necessaria la presenza, in tutte le nazioni del mondo, di forze politiche chiaramente riconoscibili ,orientate verso il progresso; pacifiste; ambientaliste e preoccupate per il nostro ecosistema; avverse alle ingiustizie sociali, tolleranti, solidali, fautrici della integrazione e dell’accoglienza. Non riesco a chiudere con parole di ottimismo. Oggi non trovo ragioni per essere ottimista. Domani, chiedo scusa per l’abusata citazione cinematografica, è un altro giorno.

PIERO ALESSI