L’odio

di ROBERTO FIORENTINI ♦

È la storia di una società che precipita e che mentre sta precipitando si ripete per farsi coraggio fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene, ma il problema non è la caduta ma l’atterraggio.

L’odio, film del 1995 di Mathieu Kassovitz

 Qualche giorno fa ho pubblicato sul mio profilo Facebook un post dallo stesso titolo di questo articolo, che ha riscosso molti likes e suscitato numerosi commenti. Il post era questo:

Ieri sul treno ho ascoltato due vicini parlare di politica. Ho aguzzato le orecchie. Ce l’avevano con Renzi, cui auguravano la morte. Ma non perché era lui. O perché fosse un avversario politico. Odiavano tutti. L’hanno detto chiaramente: per me so’ tutti uguali. Uno ha detto : peccato che il terremoto non ha colpito il Parlamento.

Non dico che la politica sia immune da colpe. Anzi. L’esempio fornito da molti è condannabile. Ma questo odio totale, cieco e sordo e – sostanzialmente – inemendabile è il problema principale del nostro Paese e ( forse ) del nostro tempo.

L’odio è sempre stato un elemento della politica. Negli anni ’70 in Italia si sparava agli avversari politici. Ma odiare così, tutti indistintamente , significa, in fondo, odiare anche se stessi.

Dai commenti, però, ho compreso che il senso di questo post non era “arrivato” fino in fondo, forse anche perché il mezzo in se ( il post sul social) non aiuta ad approfondire. Quindi ho deciso di specificare meglio il mio pensiero. Non avevo alcuna intenzione di difendere certo né la politica e tantomeno i politici . Proprio non mi interessa. È evidente di chi siano le responsabilità che ci sono dietro una situazione come questa cioè di una classe dirigente egoista e corrotta. Ma questo odio totale, questa sfiducia nei confronti di tutte le istituzioni, compresa l’autorità scientifica che misura l’intensità dei terremoti – avete certo capito a cosa mi riferisco – fanno male al Paese, ne rallentano la crescita, abbattono il PIL. Infatti la fiducia , come ben sanno coloro che si occupano , a vario titolo, di finanza e di economia, è una componente necessaria per favorire la crescita del Sistema Paese. La definizione più efficace si deve al sociologo ed economista Partha Dasgupta, che non esita a indicarla come il problema fondamentale dell’economia.

Secondo Dasgupta, la fiducia si riferisce al capitale sociale o relazionale, ossia al patrimonio di rapporti instaurati tra l’impresa e i suoi interlocutori.

In altre parole è la fiducia a generare relazioni anche economiche. Insomma esiste un impatto economico delle relazioni interpersonali.

Afferma l’economista anglo-indiano, docente di economia a Cambridge: Che si tratti di scavare un pozzo per il villaggio, di mettere assieme le forze per raggiungere un risultato politico, di stipulare un accordo commerciale o un’assicurazione o di stipulare un matrimonio, alla base di tutto è necessario che le parti si fidino l’una dell’altra. Che in Italia , in questi anni, la fiducia nelle istituzioni e nella classe dirigente del Paese sia andata progressivamente scemando non va neppure dimostrato. Sia chiaro: non mi riferisco a quelli che, nella metà degli elettori che ancora vota, scelgono formazioni politiche che fanno del populismo l’origine del loro consenso. E neppure alla metà dei cittadini che a votare non ci va proprio. Mi riferisco ad un diffuso modo di pensare che tocca molti , sia che votino oppure no e sia che votino questi oppure quelli, per cui risulta difficile guardare al futuro , appunto, con fiducia. In Italia, a partire dal gennaio 2011, l’ISTAT svolge un’inchiesta congiunturale su base mensile per misurare, mediante l’utilizzo di specifici indicatori anticipatori, l’aspettativa positiva o negativa (sentiment) delle famiglie e delle imprese italiane sullo stato attuale e sulle previsioni dell’economia. Ma l’indice negativo di cui parlo non è solamente quello misurato dai mercati, piuttosto quel capitale relazionale di cui parla l’economista indiano citato, quello che serve per scavare un pozzo. L’odio serpeggiante, che leggiamo quotidianamente sui social, quello gridato dai capipopolo, quello sussurrato nei discorsi sui treni, serve per bruciare i pozzi. E invece noi abbiamo bisogno di scavarli, i pozzi. Ecco perché l’odio, quello del mio post su facebook, non colpisce solamente chi ne è oggetto, ma ricade , pesantemente, anche su chi lo prova. E quando è così totale, cieco e collettivo è dannoso verso se stessi ma crea gravi ripercussioni su tutto il resto della società. Che invece avrebbe bisogno di altro. In fondo i Beatles lo avevano capito già nel 1967: Link : https://www.youtube.com/watch?v=t5ze_e4R9QY

ROBERTO FIORENTINI