Quando il cuore ha un peso rispettabile

 

di ELOISA TROISI ♦

Io comincio a far poesie quando la partita è perduta.

Non si è mai visto che una poesia abbia cambiato le cose.

[C. Pavese, da “Il mestiere di vivere”, 19 Giugno 1946]

 

Riguardo “l’utilità dell’inutile”, intesa come capacità dell’Arte di contribuire alla formazione personale dell’individuo e alla creazione di un afflato umano universale, è stato detto molto, in ogni epoca e in ogni contesto.

Discorsi astratti, capaci di cavalcare i secoli come valchirie, venute a prendere i tanti piccoli eroi quotidiani annegati in un mare di pressioni sociali, di esigenze economiche, di aspettative familiari, spirati nella marea di una “normalità” impostata su valori come successo, immediatezza e concretezza.

Capita talvolta, però, che un eroe resista alle stesse valchirie che sono venute a prenderlo, rifiutando di arrendersi al mare nella sua eterna torre d’avorio e di nuotare, scontrandosi con correnti avverse. Capita allora che venga deriso, esposto al pubblico ludibrio di un mondo cui non appartiene.

Paradigma dei nuotatori ostinati e contrari è sicuramente Don Chisciotte. Conosciamo tutti l’eroe della Mancha, capace di grandi e folli imprese a bordo del suo Ronzinante, col suo fido e poco brillante scudiero Sancho Panza, in nome di Dulcinea, puttana di bordello, eppure la più bella tra tutte le dame. Nell’immaginario collettivo, questo attempato cavaliere non è diventato che un perdente, un’icona parodistica; si tende infatti a valutare il risultato delle sue azioni piuttosto che le sue intenzioni. Battersi contro i mulini a vento è un’espressione ricorrente, sinonimo di qualcosa di vano sotto ogni profilo.

Si è perso il valore dell’inutilità delle azioni, del loro carico simbolico, del loro motore. È rimasto solo il fine, che diventa esso stesso movente, annullando la bellezza e la forza di ogni gesto. Ogni indugio al patetismo, quella parte sacra di umanità che ci rende più inclini all’amore universale, è aspramente condannato dal criterio dell’utile. D’altro canto, poiché il fine di un’azione non può essere prevedibile ed essendo l’unica condizione da soddisfare, il piccolo uomo moderno è costretto ad arrovellarsi in astrusi calcoli sulle probabilità, a distruggersi in ansie dell’imprevisto. Non è più pensabile agire per puro sentimento di giustizia e di passione; c’è sempre lo scopo da considerare, per non essere stimato uno sciocco o, come si viene bollati da una società ilare e bonaria, un ingenuo.

Conseguenza naturale di questa tendenza è l’abisso nero in cui annaspa la psiche dell’uomo moderno, cui fa da contorno un desolante impoverimento culturale: la vera Arte è ormai un lavoro da ingenui. L’unica forma socialmente accettabile di creatività artistica è quella mercificabile, definita propriamente come intrattenimento. È un depauperamento che non risparmia nessuna produzione umana: verrebbe da dire che solo le scienze sono esenti da questa tendenza, per il loro risaputo impiego immediato, medico-tecnologico, ma che cosa è mai la scienza senza slancio visionario, senza coraggio creativo?

Il vero dramma del nostro secolo è la colpevolizzazione del genio, l’ossessione del beneplacet sociale, che genera un popolo di uomini grigi, vigliacchi e poco brillanti, col culto della mediocrità come unica scelta ragionevole per ricevere il plauso generale.

Don Chisciotte non esiste più. O, se esiste, se ne sta chiuso coi suoi libri in una stanza a rimuginare sull’inutilità delle sue intenzioni, vilipeso da una civiltà che vi ha intravisto la minaccia al profitto, unico valore socialmente riconosciuto come vero.

Se ci si interrogasse realmente su che cosa significhi questa figura, che cosa rappresenti per la cultura occidentale, si costruirebbe forse una società più sana, consapevole di quanto sia giusto e addirittura necessario battersi per le cause perse. Si comprenderebbe realmente Montale, quando dice:

Né più occorrono le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.

Si esalterebbe l’astrazione inconsapevole, che è quella virtù assolutamente umana che glorifica gli impulsi, cosa piccola in ogni altro animale. E allora apparirebbe davvero grande, l’uomo che inseguisse le sue passioni senza curarsi troppo della loro azione effettiva, perché niente che abbia un fine calcolato, a questo mondo, può dirsi esente da manie di controllo – sano.

Perché “Niente di grande è stato fatto nella Storia senza passione”.

E allora, forse, in un mondo di Don Chisciotte, si potrebbe fare poesia quando la causa non è ancora perduta, per intervenire sugli eventi, fosse anche solo per coglierne la bellezza, per struggersene.

E allora, sicuramente, questo nostro mondo che ha nome Dulcinea e che è un gran lupanare di ambizioni, di interessi e di piccolezze, cambierebbe.

Perché, in fondo, ha ragione Hikmet a sperare che “Dulcinea sarà ogni giorno più bella”.

ELOISA TROISI

Immagine titolo : “Don Quixote is placed in a cage”  by Gustave Doré