Perché non si può andare al cinema da soli?
di MARCO DE LUCA ♦
Quante volte vi è capitato di andare al cinema da soli? O a teatro da soli? O al mare da soli, in viaggio da soli, a cena fuori da soli? Avrete già capito dove voglio andare a parare. L’atteggiamento dell’italiano medio sembra quello di una persona terrorizzata dalla possibilità di rimanere da sola in tutta una serie di situazioni. Ma è un bene o un male? È evidente come la socializzazione, quella reale, sia un valore da preservare, soprattutto in tempi come questi, in cui essa sembra non essere agevolata e amplificata dai social network, ma anzi da essi quasi soffocata. Ma quando questa smette di essere socializzazione, e comincia a definirsi come un bisogno irrefrenabile di compagnia (e quindi non più un piacere ma, appunto, una necessità), come va considerata? La contraddizione nella frase “ho bisogno di compagnia per andare al cinema”, dato che una sala cinematografica non nasce principalmente per permetterci di coltivare amicizie, è quella che salta più facilmente all’occhio; ma non è l’unica. Anche un pasto in un ristorante non deve essere necessariamente consumato in compagnia, eppure è un dato di fatto che nella stragrande maggioranza dei casi, almeno qui in Italia, si scelga di mangiare fuori solo se in due o più. Che sia un’eredità culturale o piuttosto una di quelle convenzioni di cui non riusciamo a liberarci, è certo che questa fobia della solitudine non trova all’estero la stessa diffusione che ha in Italia. Basta chiedere a qualche inglese, olandese, svedese, statunitense, per scoprire che sì, la compagnia fa piacere in tutto il mondo, ma non è un fattore indispensabile nella maggior parte delle occasioni come in Italia.
Se vi è capitato di parlare di questo argomento con qualcuno, probabilmente avrete notato che le opinioni non sono sempre concordi. Da un lato è impossibile non ammettere che l’uscita in compagnia è molto più frequente di quella solitaria, eppure più di qualcuno ci tiene a sottolineare che, per quanto lo riguarda, “uscire da solo non è un problema”, anche se non lo fa quasi mai; il che ci richiama un altro difetto estremamente comune fra gli esseri umani, e cioè l’incapacità di essere obiettivi con se stessi. Se nessuno di noi va abitualmente al cinema o a cena fuori da solo, infatti, non può essere una casualità; e chi pensa che lo sia non può che essere, secondo me, un ipocrita. Non serve sottolineare che l’eccezione esiste, ma, oltre che confermare la regola come vuole il detto, essa riguarda soprattutto certe categorie di persone, e non intacca la visione generale. Se si è da soli, magari si preferisce una pizza consegnata a casa, rispetto a un tavolo solitario in un ristorante: sarà che temiamo il giudizio altrui, o sarà che non siamo in grado di sopportare il nostro stesso silenzio in mezzo al vociare di un luogo affollato, il risultato è lo stesso.
Non so se c’è veramente qualcosa nella nostra cultura che ci rende insopportabile la vista di una persona che si dedica da sola a qualche attività piacevole, non so cos’è che ci trasmette questa sorta di tristezza. E non voglio dire che sia per noi odiosa la solitudine in generale, dato che molti obietterebbero prontamente che “è bello, ogni tanto, stare da soli”. Ma proprio questa frase, e la frequenza con cui la sentiamo, pensiamo o diciamo, dovrebbe farci riflettere: ci teniamo a sottolineare un concetto, perché il concetto opposto, cioè che “è bello, ogni tanto, stare in compagnia”, è già palese. Anzi, diciamolo, è bello essere in compagnia quasi sempre, e infatti lo siamo quasi sempre; ma talvolta ci ripetiamo a vicenda, come monito, che un attimo di solitudine fa bene, quasi che dovessimo convincere noi stessi e gli altri di qualcosa. E cioè che non siamo schiavi di questo bisogno sociale.
Indubbiamente non sarà questa piccola riflessione a convincere qualcuno ad andare al cinema da solo; e non è questo il mio obiettivo. Ciò che invece mi fa rabbia, e ciò che voglio mettere in luce, è la diffusa mancanza di consapevolezza: che sia una cosa giusta o sbagliata, questa paura di essere soli esiste, fa un po’ parte del nostro essere italiani, e non deve necessariamente sparire: ma dobbiamo avere il coraggio di ammetterla, e poi forse di esserne orgogliosi. Perché anche un errore, quando è consapevole, diventa licenza, ed è anche con le licenze che si fa una poesia.
MARCO DE LUCA
Complimenti ho letto con interesse il suo articolo, come del resto tutti gli altri del blog. Piu’ che fobia secondo me un male di questa societa’ la mancanza di un individualismo “puro” forse perche’ comporta un prezzo da pagare. La responsabilita’ individuale forse e’ il prezzo della liberta’ individuale.
Mariella Dottavio
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Sono d’accordo: si può ben vedere come il fare “gruppo” comporti una deresponsabilizzazione. Io mi sono limitato a considerare quel tempo libero dove non ci sono colpe o responsabilità
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Io adoro andare al cinema da solo. Ci vado spesso. Anzi , forse, mi piace di più che andarci con altre persone. Vado anche da solo alle Mostre ed al teatro . Od al mare. Mi capita sovente. Solamente mangiare da solo mi piace davvero poco, anche se , specie per impegni professionali, spesso mi capita di mangiare un boccone a pranzo solo soletto. Vorrei , invece, indurti in una riflessione: in tempi di social network uno è davvero solo ? Facebook e Twitter non saranno succedanei degli amici ? E non sarà per questo che , ovunque, i nasi della gente sono sempre più incollati ai propri smartphones ?
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Certo, grazie ai nuovi mezzi di comunicazione siamo soli ancora meno spesso. Questo, in effetti, mi sembra vada a riconfermare che una certa paura della solitudine esista; ed è per contrastarla che, al giorno d’oggi, ci siamo inventati anche delle compagnie surrogate.
Per il resto, come ho scritto, eccezioni ce ne sono (molte), e io invidio queste persone in quanto, a differenza mia, si sono liberate di una convenzione. Ma certo nessuno può pensare che la maggior parte della gente non soffra di questo “bisogno di compagnia”, perché a confermarlo è l’evidenza: basta guardare in un cinema.
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Difficile inquadrare schematicamente queste cose, si deve pur prendere atto della diversità che c’è nelle persone, dell’ambiente sociale e dal bagaglio culturale, dall’indole estroversa o introversa, e via dicendo per innumerevoli variabili. E che dire di coloro che vorrebbero tare soli ma non possono e coloro che sono costretti in compagnia ma vorrebbero essere soli? La vita è strana assai. Si può comunque cercare una generalizzazione? Ho paura che, per quanto ci si provi, si arduo riuscire ad avere un quadro minimamente preciso di questo tipo di fenomeni. Suggerisco un’altro punto di vista, quello cioè legato alla necessità o meno di confrontarsi, di dimostrare qualcosa di se.
Penso che normalmente c’è l’età nella quale c’è bisogno di affermare un ruolo sociale, ricercando anche una certa “stima”. Col passare degli anni questa necessità scema poichè se ne ha certo meno bisogno, ma si è anche più consapevoli di se stessi, quindi la pratica dell’amicizia passa dalla necessità di realizzare se stessi anche ricevendone con l’amicizia una sorta di attestato all’amicizia per il semplice “piacere” di frequentare quella o quelle persone.
Ovvio che questa è solo una delle chiavi di lettura, delle tante chiavi.
Un’altra chiave la suggerisce Roberto notando la differenza fra l’andare al cinema o a cena, quindi una chiave che considera cosa si fa assieme, le cose da fare sono diverse e restituiscono opportunità e modi di interazione diversi fra le persone.
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È vero, generalizzare è sempre difficile. In questo caso, secondo me, dare un’occhiata agli spalti di un cinema è sufficiente per ottenere non una norma universale, ma una valida riflessione. Si potrebbe discutere molto, ma i fatti parlano più forte delle teorie.
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Io sono oramai abituata a volare e viaggiare in solitudine , stefano e la mia bambina spesso non vengono con me per non disturbarli e fargli vivere le mie peripezie artistiche.
Non mi sono mai sentita troppo sola e mangio spesso fuori sia
a pranzo che a cena ma a molti occhi indiscreti spesso sono stata vista come “alieno”
MA COME VAI DA SOLA? E NON HAI PAURA? MA L’AEREO DA SOLA E COME FAI? allucinante .
Boh sarà che sono abituata più a fare tutto sola che in compagnia 🙂
bravo cugino…. ❤
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Ciao Marco, voglio consegnarti un altro spunto: la straordinaria capacità di ascolto di se stessi che può dare lo sport di endurance… Intendo quelle attività che puoi praticare in solitudine, per un tempo prolungato. Poco importa se si tratti di corsa, nuoto, bicicletta o marcia, quello che si prova nella fatica solitaria è un prezioso viatico per il superamento delle difficoltà quotidiane. E si riesce a riflettere molto meglio di quanto si riesca stando in mezzo agli altri…
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L’avevo pensato e Marco Piendibene l’ha scritto, avevo pensato quanto mi abbia gratificato, quando avevo un fisico migliore, salire sui monti da solo. Ricordo ancora, una Pasqua salii su un altopiano nel Parco D’abruzzo, ero solo con il vento, la neve ancora presente e le montagne, niente di trascendentale solo una salita tranquilla, ma l’essere solo con la natura, anche se fatta di roccia e vento mi ha restituito una esperienza che non ho più vissuto. Riguardo il cinema penso che dipenda da cosa si va a vedere, certo non credo che si vada in comitiva a vedere “La solitudine dei numeri primi”, diverso è se si va a vedere una commedia, insomma voglio dire che forse andrebbe considerata la tipologia del film. Debbo anche dire che un giorno andai a veder un film premiato con l’oscar ed in contemporanea c’era il classico cinepanettone, la sala dell’Oscar era quasi vuota mentre facevano a botte per vedere il panettone. Voglio dire, e credo che Roberto Fiorentini, amante di cinema qual’è, può essere d’accordo col fatto che sia necessario considerare il tipo di film se vogliamo capire i comportamenti del pubblico in comitiva o in solitaria visione.
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