Perchè l’International Street Food NON è stato un successo
di ROBERTO FIORENTINI ♦
Certamente l’immagine emblematica della recente manifestazione dedicata al cibo da strada, organizzata dal Comune, è quella di un espositore che lava i vassoi nella storica Fontanella del Viale. Ma in tantissimi l’hanno vista sui social e quindi eviteremo di parlarne. Come pure eviteremo di parlare della enorme quantità di rifiuti , abbandonati un po’ ovunque, nelle tre serate. O del caos del traffico. Questi argomenti sono stati oggetto di cento post su Facebook, comunicati ed interviste. E quanto è stato detto può bastare. Io, invece, vorrei spiegare perché , secondo me, questa kermesse gastronomica non può essere in alcun modo considerata un successo, al contrario di ciò che sostiene l’Assessore alla Cultura, al Commercio ed al Turismo Enzo D’Antò.
Ma andiamo per gradi. C’era tantissima gente, è vero, con lunghe file agli stand per prendere da mangiare e in molti si sono divertiti, anche grazie all’intrattenimento offerto dai dj di Radio M2O. Ma , in sostanza, che cosa è stata questa iniziativa ?
- Non è stato un evento culturale. Qui di cultura non ce n’era neppure l’ombra. La musica era presentata da una radio specializzata in dance music, di quelle che fanno tunz tunz a tutte le ore. Roba commerciale, buona solo per ballare. Di cultura del cibo, neppure a parlarne. Era comune cibo di strada, fintamente etnico, offerto peraltro a prezzi neppure troppo convenienti. Non possiamo dire che la città , da questa proposta, abbia ricevuto una spinta per migliorarsi e sprovincializzarsi. C’era solo roba da mangiare e qualche volta, come hanno appurato i controlli della ASL, di dubbia qualità.
- Non è stato un evento commerciale. Hanno guadagnato solamente gli espositori, tra i quali non c’era neppure un civitavecchiese. Anzi, come è verificabile semplicemente facendo qualche domanda, i commercianti del centro , ad esempio quelli di Corso Marconi, a causa della chiusura al traffico per tre giorni, hanno avuto decise flessioni negli incassi. Per non parlare di ristoranti, pub e pizzerie che non si trovano nella zona del Lungomare, rimasti desolatamente vuoti.
- Non è stato neppure un evento turistico. Perché lo fosse avrebbe dovuto essere pubblicizzato nei centri limitrofi, persino a Roma , in modo da attrarre in città consumatori diversi dai civitavecchiesi. Invece di questo evento non lo sapeva nessuno. Persino a Civitavecchia l’ordinanza di chiusura delle strade , con validità dalle 6.00 del 17 giugno, è stata pubblicata il 16 giugno, datata 15. E sulla stampa locale le prime scarse informazioni le troviamo in data 14 giugno. Non c’è stato praticamente nessuno che è venuto a spendere un euro a Civitavecchia , fosse anche per un caffè, da fuori città.
Un evento come questo, come altre iniziative analoghe (tipo i vari mercatini ) messe in campo da questa amministrazione, ha un senso esclusivamente se riesce ad attrarre in città persone provenienti dal circondario , esattamente come accade , ad esempio, per la Sagra del carciofo a Ladispoli o per TolfArte, che attirano gente da Roma, da Civitavecchia e da tutto il Lazio. Altrimenti servono solamente a solleticare i gusti dei nostri concittadini di bocca buona, senza far crescere in senso culturale, ne’ commerciale e ne’ turistico la nostra città . Non portano nulla, anzi danneggiano le imprese locali e , in definitiva, portano i già pochi soldi dei civitavecchiesi, nelle casse di operatori commerciali provenienti da chissà dove. E forse , anche per il Comune, il costo, fra pulizie straordinarie, danni e disagi fatti patire ai cittadini, non è poi così certo che venga coperto dagli incassi delle occupazioni di suolo pubblico.
di ROBERTO FIORENTINI
Ne abbiamo discusso ieri,e sai che sono d’accordo in tutto. Aggiungerei una piccola riflessione.
Riguarda la nostra conclamata ” civitavecchiesità”. Termine che spesso si cita , non propriamente in modo positivo e che qualcuno, furbescamente, usa a proprio vantaggio. Venerdì la città è stata praticamente bloccata, i disagi enormi e anche le arrabbiature. Eppure , non si può disconoscere, l’affluenza è stata enorme. Gente che si accalcava, file lunghissime per mangiare il cosidetto cibo da strada tipico della cultura culinaria americana , distante anni luce dalla nostra ( fortunatamente) e venduta anche a prezzi non propriamente popolari. Che poi non fossero stati predisposti parcheggi, che la viabilità fosse congestionata, che i danni collaterali fossero a carico della cittadinanza poco importa. Basta che “se magna”. Che ci vuoi fare, siamo fatti così e peggio sarà, almeno a vedere l’età media dei famelici consumatori. La cosa invece che non va bene è un’altra: c’è chi vorrebbe spacciare questi eventi come esempi di coinvolgimento della comunità e proporli periodicamente , in netta contraddizione rispetto alle tradizioni di Civitavecchia, e utilizzare lo strumento godereccio per aumentare i propri consensi. Anche a rischio di far divenire questa città ancora più kitsch di quella che è.
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Kitsch è il termine chiave del tuo intervento. Anche se , forse, è un pochino benevolo.
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Sarebbe meglio trash
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La schizofrenia degli onesti, virtuosi cittadini pentastellati: da una parte, con un po’ di guazzabuglio (Kitschs) si richiamano ad un Comitato di salute pubblica, con D’Anton come figura gregaria. Si richiamano alla volontà generale ed alla educazione naturale di Rousseau, ma dall’altra bisogna adeguarsi e consolidare il trash che ottiene consensi! Allora, la nuova Eloisa non passeggerà nei prati incontaminati , deprivati di eternit e di fumi della Centrale, Eloisa , dimentica come i nostri ” virtuosi” della decrescita, sguazza nel trash di birra, tortillas e cozze sciacquate nella pubblica fontanella.
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effettivamente il termine trash calza meglio… 😉
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Cito Dario:
“Gente che si accalcava, file lunghissime per mangiare il cosidetto cibo da strada tipico della cultura culinaria americana , distante anni luce dalla nostra”
Su questo non sarei d’accordo, le mie origini non sono di questa città per cui non ne conosco in prima persona la storia e le sue espressioni, ma debbo dire che il cibo da strada in Italia specie meridionale ha radici ben profonde e direi più antiche della “cultura culinaria americana”.
Parliamo degli “gnumerieddi” delle Puglie, dei frutti di mare venduti e mangiati sul molo dei porti, alle siciliane “pane e panelle”, ai taralli ‘nzogna e pepe di cui si è scritto e cantato, in questo caso si risale a tradizioni settecentesche: “All’inizio dell’800 il tarallo “’nzogna e pepe” si arricchì di un altro ingrediente che tuttora ne è parte integrante: la mandorla.”. Cento altre forme ed espressioni del “cibo da strada” caratterizzano la nostra cultura, direi popolare se pensassi che la cultura sia qualcosa di definibile per censo. Purtroppo l’americanizzazione del “termine identificativo” ovvero “street food”, ha una grande colpa, ha la colpa di snaturare il nostro originale “cibo da strada” portandola verso qualcosa che non ci appartiene, hot dog and chips.
La manifestazione in oggetto non l’ho vista e lungi da me pronunciarmi pro o contro. Mi domando quanto sia stato “cibo da strada” e quanto “street food”, anche se un’idea ce l’ho ma me la tengo per me, non mi piacciono le facili critiche.
In ogni caso vedrei veramente con piacere una operazione che sia davvero culturale che proponga il vero “cibo da strada” italico, quello che ha solide radici nella storia delle genti.
Intanto lascerei il termine “street food” ad altri.
Come solito un pensiero me ne tira un’altro, penso ad esempio al “cibo da strada” di tutti quei paesi mediterranei che il nostro porto collega, sarebbe un evento culturale veramente notevole, certo gli hot dog e le patate fritte non ci rappresentano davvero.
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